Alla base dei crateri sommitali dell’Etna, a quasi tremila metri sul livello del mare, si trova un luogo amato da Empedocle; si dice che lì il filosofo avesse costruito un alloggio poiché voleva diventare tutt’uno con la superficie dell’Etna, mescolandosi ad acqua, terra e aria.
Da questo luogo estremo, guardando in basso verso il mare ed ammirando dall’alto la Valle del Bove, mi sembra che le parole più adatte per descrivere la vista che si apre e le emozioni che ne scaturiscono, siano quelle dello scienziato viaggiatore dell’Ottocento, Elisée Reclus:
Vi fu un tempo nel quale una porzione di codesto abisso, il Trifoglietto, fu una delle bocche ignifughe, e direttamente comunicava col mare sotterraneo delle Materie squagliate, ma ad un’epoca antistorica il camino di eruzione rimase ostruito, poi il cratere cieco fu a mano a mano corroso dalle acque delle nevi e finì col divenire durante il corso dei secoli l’enorme circo irregolare della Valle del Bove. Cogli sguardi senza posa rivolti verso il precipizio che si spalancava sotto ai miei piedi, io proseguiva la mia salita verso il comignolo, sovrano dell’Etna. Senza prestarvi attenzione passai davanti a ruderi di una costruzione romana, detta la Torre del Filosofo e poi lasciai a sinistra il rialto di terreno su cui sorge « la casa degli Inglesi ». […] Il professore Gemmellaro di Catania ha in animo di apprestarvi un osservatorio meteorologico destinato al duplice studio dei vulcani e dellee correnti atmosferiche. Sarebbe una stazione importantissima per la fisica del globo questa specola situata nel centro del bacino del Mediterraneo, a quasi 3000 metri di altezza, assai più elevata della regione delle nubi inferiori, in quelle eccelse zone dove si urtano e si incrociano senza ostacolo le correnti atmosferiche che arrivano dal polo e dall’equatore. (E. Resclus – “Viaggio in Sicilia”, 1873)
Quasi come lo studioso francese, che nel 1865 partiva per la Sicilia per osservare da vicino caratteristiche e attività del vulcano più famoso d’Europa, accompagnato e guidato da Giuseppe Gemmellaro, fratello del naturalista e geologo catanese Carlo Gemmellaro, anch’io nel 2006 ho intrapreso il mio grand tour dell’Etna, campionando e raccogliendo dati per il mio dottorato di ricerca. Con meno poesia, ma con altrettanta meraviglia, ho indagato su tutti i versanti del vulcano, a diverse altitudini, raccogliendo campioni della flora endemica (e non endemica) etnea.
Non voglio dilungarmi in un’esposizione che, forse, sarebbe adatta essenzialmente agli studiosi del settore ma, prima di lasciarvi ammirare i colori della tavolozza etnea, vi sottopongo due importanti considerazioni utili per eventuali approfondimenti scientifici. La prima considerazione riguarda i fattori ambientali: le condizioni climatiche ed il continuo mutare della topografia del vulcano creano nel sito etneo un habitat differenziato e selettivo che rende estremamente diversificati i suoi contingenti vegetali. La seconda considerazione si basa sul fatto che le piante endemiche del territorio etneo, a causa della “giovane” età del vulcano, sono dei Neoendemismi evolutisi nel quaternario, aventi affinità con diverse specie geograficamente poco distanti, e quasi totalmente compresi in una fascia altitudinale che va dai 1900 m s.l.s. in su, dove le condizioni meteoclimatiche sono più estreme.
È così che scorrono i fiumi: impetuoso o lenti. Sono Serena, una biologa marina, con una laurea da 110 e lode ed uno stage post-laurea su Indici ed Indicatori di Sostenibilità Ambientale. Ho un dottorato in Scienze Ambientali e mi sono occupata di endemismi della flora etnea. Ho lavorato come guida museale per l’Orto Botanico di Catania, come guida naturalistica sulle sciare del mio vulcano e sui litorali delle mie coste, e come esperto di didattica e divulgazione scientifica. Oggi sono un’insegnante di Matematica e Scienze e un’artigiana (lavoro il metallo) per passione. Così è il mio percorso: ora impetuoso, ora lento. Come un fiume.