Di Katuscia Da Corte.
Ho una laurea in scienze e tecnologie multimediali, quindi ho voluto fare molti lavori (esplorando tutti i mezzi di comunicazione, di trasporto e di sopravvivenza!). Mi piace scoprire e raccontare luoghi, esperienze e persone speciali.
Da parte materna, provengo da una famiglia di sarti. Mia madre è sarta, e così mia nonna e i miei bisnonni. Io, per contro, fatico a infilare una macchina da cucire. C’è stato però un periodo della mia vita, quando abitavo a Londra, molto lontana dalla famiglia, in cui mi è presa una specie di nostalgia delle origini. Ho tentato di colmarla iscrivendomi a un corso di cucito. Non ho imparato granché, ma da lì ho cominciato ad appassionarmi alle materie prime, cioè ai tessuti e ai filati. Ai margini della grande distribuzione, mi si è aperto il mondo delle eccellenze artigiane che continuano a perpetuare, con declinazioni personalissime, antichi processi di lavorazione di fibre animali (come lana e seta) e vegetali (lino, cotone, ecc.), filando, tingendo e tessendo a mano. Su questi professionisti, e sui loro manufatti, mi sarebbe piaciuto realizzare un video, raccontare i fili visibili e quelli invisibili che legavano le loro vite al loro lavoro. Annodare delle cordicelle per formare le maglie di una rete, o montare un telaio per intrecciare trama e ordito, sono gesti tanto arcaici e necessari alla sopravvivenza quanto, per me, magici e misteriosi. Avevo già preso i primi contatti per fare delle interviste, quando, su internet, mi sono imbattuta nelle foto delle opere di un artista che sembrava subire la mia stessa fascinazione. Solo che lui, i fili intrecciati, li disegnava, rappresentandone i percorsi nei minimi dettagli. Il suo era un modo completamente sui generis di fare a maglia: invece dei ferri, usava le penne a sfera (le biro), restituendo a chi guardava la tridimensionalità di elementi che normalmente, essendo sottili, vengono percepiti come piatti, tipo, appunto, uno scampolo di stoffa o una coperta.
Oggetti di uso comune protagonisti di quadri, anche di grande formato, che ne rendevano la struttura evidente, quasi che i singoli punti fossero sotto una lente d’ingrandimento. Quel loro susseguirsi, intersecarsi, rincorrersi dentro e fuori in maniera quasi ipnotica, diventava metafora di qualcos’altro e io volevo sapere cosa.
“Dell’infinito, credo.” mi ha risposto l’autore, Emiliano Antonetti, quando gliel’ho chiesto. In quel momento, il mio progetto di documentario era caduto in secondo piano, ma sentivo di aver varcato la soglia di un meraviglioso universo interiore. E in quelle trame sono rimasta decisamente impigliata!
Lasciate che lo presenti anche a voi: classe 1974, Emiliano è nato e cresciuto in Lombardia, tra Varese e Milano, dove attualmente di giorno si occupa di decorazione pittorica di sera “tesse” le sue tele. Ha studiato scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, ha una passione per le graphic novel ma anche per i dipinti dell’Ottocento e i classici della letteratura. Non a caso, la prima opera che ho visto sul suo profilo s’intitolava Textus, che in latino, significa sia tessuto che testo: “I punti, come le lettere, si devono combinare seguendo schemi precisi, che vanno pensati, ma potrebbero andare avanti all’infinito. È per questo che io non riesco a fermarmi, non lascio margini, occupo ogni spazio, e potrei continuare ancora se il supporto non fosse fisicamente limitato”.
Nelle sue mostre è possibile ritrovare la stessa minuzia, la stessa modularità, anche in un’altra serie di opere, dedicata agli alberi, dove però l’unità ripetuta all’infinito è la foglia. Si tratta ancora di elementi ricorrenti nei nostri “paesaggi quotidiani”, ma che di rado ci soffermiamo a guardare attentamente. Lui invece ne trae continuamente ispirazione, rielaborandoli nel proprio immaginario.
E gli è sembrato naturale, qualche anno fa, portare su grande formato quegli schizzi che inizialmente fissava solo su un taccuino, continuando a utilizzare comunque le biro, strumenti altrettanto diffusi e comuni nelle mani di tutti, sebbene destinati ad assolvere normalmente funzioni più prosaiche. Oggi, Emiliano si sta proprio interrogando sulle caratteristiche di quell’inchiostro chimico, che non è certo stato pensato per l’esposizione prolungata e costante alla luce e per cui è ancora così difficile individuare fissanti efficaci. Così, mi ha svelato recentemente, “è probabile che proprio la natura evanescente di quell’inchiostro avrà un ruolo centrale nelle prossime opere”.
“Monologhi d’autore” è uno spazio d’intervento riservato alla libera creatività di persone competenti che intendano condividere vissuto o esperienze, professionalità o approfondimenti culturali a beneficio dei lettori di Spazi Esclusi.
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Andrea Cvečić
7 Luglio 2021 — 06:01
I campi obbligatori sono disegnati… e come! Grazie,
Andrea