L’articolo di questo bimestre non fa solo riferimento alla mia vita da biologa, ma anche a quella da insegnante. Parto dal punto finale di una catena di associazioni di idee, che cominciava osservando il libro di testo di Scienze, e terminava con un vecchio articolo di un noto giornale sugli elefanti che, in Mozambico, nascono con sempre maggiore frequenza senza zanne. Il titolo dell’articolo, come spesso sono i titoli di molti pezzi sul web, era fuorviante e faceva intendere che gli elefanti nascerebbero senza zanne per sopravvivere ai bracconieri. Nella maggior parte dei “non biologi” la lettura di questo titolo suscitava un senso di gioia e soddisfazione nei confronti degli elefanti, e di rivalsa nei confronti dei bracconieri, proponendo l’idea di un’evoluzione in grado di reagire alla minaccia umana. Nella mia testa di biologa, che è abituata a non trarre conclusioni affrettate, sono invece scaturite due considerazioni: la prima relativa al dato in sé, e cioè la diminuzione di elefanti munita di zanne; la seconda (quella su cui concentrerò la mia attenzione) relativa alla facilità con cui si tira in ballo il concetto di evoluzione, senza conoscerne gli effettivi meccanismi e i risvolti sul piano scientifico. La teoria dell’Evoluzione è ancora oggi capace di suscitare polemiche accese (come è accaduto quando il Ministro della Pubblica Istruzione Moratti tentò di cancellarla dai programmi scolastici, causando l’insurrezione della comunità scientifica), ed è al centro dell’interesse di specialisti ed opinione pubblica. Ciononostante, si fatica a trovare una visione d’insieme che tenga conto di tutti i suoi aspetti biologici, antropologici e fisici, e che riesca ad unificarli, in maniera coerente, alle novità che hanno caratterizzato il sapere scientifico degli ultimi anni. Mentre i libri di testo restano ancorati ad un paradigma di tipo selettivo, oggi il mondo scientifico tende invece ad una visione costruttiva dell’evoluzione: non più solamente svolte casuali nel codice genetico degli individui che vengono, a loro volta, selezionati “dalla natura”, ma vere e proprie spinte o vincoli che in qualche modo dirigono i processi evolutivi. Non più Lamark in contrapposizione a Darwin, ma un modo nuovo e, potremmo dire olistico, di guardare alla biologia dell’evoluzione.
Scorrendo il libro di testo in uso nella mia classe, mi rendo conto di quanto lentamente i nuovi paradigmi scientifici, quelli del nostro decennio, si trasferiscano nei programmi e nei libri di testo. Mi chiedo spesso quanto sia utile e talvolta, forse, anacronistico, rimanere allineati a programmi ministeriali tanto lontani dalla realtà. Ritengo però, non so quanto in maniera consolatoria, che poco importa cosa, in termini di contenuti, si trasferisca ai ragazzi: il mondo cambia molto rapidamente ed è sempre più complicato (forse impossibile) recuperare il gap tra ricerca e libro di testo. Penso sia a questo punto più utile sviluppare negli alunni il senso critico, insegnare loro a coltivare il seme del dubbio; spiegare ai ragazzi che bisogna essere sempre pronti a guardare oltre l’orizzonte delle proprie convinzioni, sperando che sia possibile superarlo.
È così che scorrono i fiumi: impetuoso o lenti. Sono Serena, una biologa marina, con una laurea da 110 e lode ed uno stage post-laurea su Indici ed Indicatori di Sostenibilità Ambientale. Ho un dottorato in Scienze Ambientali e mi sono occupata di endemismi della flora etnea. Ho lavorato come guida museale per l’Orto Botanico di Catania, come guida naturalistica sulle sciare del mio vulcano e sui litorali delle mie coste, e come esperto di didattica e divulgazione scientifica. Oggi sono un’insegnante di Matematica e Scienze e un’artigiana (lavoro il metallo) per passione. Così è il mio percorso: ora impetuoso, ora lento. Come un fiume.
Angela
8 Luglio 2019 — 16:49
Il metodo sperimentale e la creatività sono alla base delle scoperte della scienza, che non sono dogmi: insegnare a dubitare è alla radice della migliore maniera di insegnare. Condivido alla lettera.
Serena
13 Luglio 2019 — 15:11
Afforontiamo grandi responsabilità, ma sopratutto una grande sfida: quella di riuscire ad aprire le menti. E non è facile in tempi in cui si crede di poter sempre avere non “una”, ma “la” risposta ad ogni domanda.
Anna
31 Luglio 2019 — 08:52
L’odierno mondo scientifico tende ad una visione costruttivista dell’evoluzione e quindi è compito della scuola quello di far “evolvere” gli studenti secondo le teorie costruttiviste di Piaget in quanto i bambini non sono dei vasi vuoti da riempire di conoscenza, ma dei costruttori attivi conoscenza. Pertanto, così come fanno gli scienziati, costantemente generano e verificano le loro teorie. In questo senso trovo questo articolo molto attuale ed interessante, infatti, non si parla più di programmi scolastici, ma indicazioni nazionali e il docente si pone come facilitatore di conoscenza proponendo un insegnamento capovolto sganciato dai libri di testo e dalle lezioni frontali.
Serena
15 Agosto 2019 — 10:48
Sogno dipartimenti in cui si discute di queste cose in libertà. Se avessimo tempo da dedicare a questo tipo di autoaggiornamento, apparentemente poco produttivo nell’immediato, sarebbe bellissimo.