Tra le più autorevoli figure del “New Thought” e della “Chiesa di scienza divina”, fa ancora parlare di sé il pastore protestante Emmet Fox, deceduto nel 1951 ma ancora vivo come riferimento di una certa spiritualità new age legata al pensiero positivo. Il suo impegno era soprattutto legato alle comunità di alcolisti anonimi: li aiutava incoraggiandoli a venirne fuori, mantenendo una costante connessione verso il principio divino, inteso come scintilla insita nell’essere umano stesso. I suoi libri sulla spiritualità trovano oggi una incredibile diffusione, spiegabile solo con l’eccesso di materialismo tipico dei nostri giorni, la pressante e inappagata domanda di senso, l’arido nichilismo che caratterizzano un’epoca cinica e demolitrice di se stessa. Ma ci chiediamo, alla rilettura delle analisi dell’uomo di fede, se le visioni spirituali dello studioso possano essere un balsamo per la nostra inquietudine. Fox non si limita a ipotizzare un “dopo”, ma lo descrive in dettaglio, annullando alcune comuni barriere che la religione tende a mantenere vive col mistero della fede. Leggendo i suoi saggi, scopriamo tutto: la natura metafisica dell’uomo, costituito da un corpo eterico che circonda da fuori quello fisico, ed è sede di piacere e dolori, pensieri e sentimenti, serbatoio della più compiuta personalità umana. L’anestesia, il sonno, in misure diverse, possono separare i due corpi, quello fisico e quello eterico, ma solo la morte è definitiva rottura di quel “cordone d’argento” di biblica memoria che li collega. Attraverso questa visione scopriamo allora che la morte non è che l’incipit di una nuova esplorazione della nostra anima verso la quarta dimensione, più difficile sulle prime da abitare, ma di certo alla lunga più fertile di opportunità, verso poi una quinta, sesta e settima dimensione, in un iter estensivo di esperienze. I morti, secondo Emmet Fox, non vanno dunque da nessuna parte: restano qui, intorno a noi, ma in dimensioni eteriche più sottili, meno dense della nostra esistenza materiale. C’è un continuum causale tra la nostra vita e le altre, si prosegue in fondo la stessa opera, indaffarati negli stessi uffici, gravitando intorno a ciò cui si appartiene. L’inferno è così visibile come il luogo naturale dell’anima che ha costantemente preferito il più basso al più alto, ma non è una condanna eterna: il mutamento determina lo spostamento, e ci si ritrova sempre con le anime affini, poiché le manifestazioni del pensiero sono istantanee in assenza di materia, sostanza che rende più lento, ma comunque inesorabile, il cambiamento. Dunque non esiste luogo, nel senso che il luogo è solo la manifestazione del pensiero. Lo stesso può dirsi del tempo, più chiaramente espressione d’altro. Allontanandoci plotinianamente dal dominio terreno della materia verso realtà più sottili, molte maschere e finzioni cadono, rivelandosi inefficaci: saremo allora ciò che veramente siamo, senza più possibilità di mentire o fingere, e avremo con noi solo quelle risorse spirituali coltivate in vita. Legame e desiderio restano nella visione del pastore realtà permanenti, in grado di funzionare a tutti i livelli dell’Essere: il desiderare ha già nella sua ossatura il progetto di uno sviluppo compiuto, ma il processo in questa esistenza è indubbiamente più lento. Resta però un bruciante tormento nell’altra esistenza quando si affida ai bisogni terreni il compito di assumere il comando, traducendosi così inevitabilmente nella situazione naturale, in assenza di risorse materiali, di rimanere inappagato. In questa armoniosa descrizione poetica in cui sempre il simile genera il simile, il “Karma” di memoria orientale non si configura come una punizione per l’anima in disequilibrio, ma come quel fattore causale di inevitabile giustizia che può tuttavia essere dissolto superando, in Dio, la propria coscienza individuale, ossia quel piano mentale limitato che cristallizza l’imperfezione.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.