Lucia Azzolina, ex ministro dell’Istruzione, da sempre impegnata, da docente e poi da dirigente scolastico, nel mondo della scuola, dialoga col direttore di Spazi Esclusi per ripercorrere alcuni momenti della sua carriera e per fare un bilancio della propria attività politica e scolastica.
Il suo incontro con la politica: una storia d’amore dalle radici antiche o un casuale colpo di fulmine agevolato dalle circostanze?
Mi sono avvicinata alla politica con gradualità: ero restia a candidarmi, inizialmente. Sapevo che sarebbe stato un impegno importante, essendo di natura una perfezionista, e avendo un forte senso di responsabilità. Quando sei eletto rappresenti tutti. Non solo i cittadini che ti hanno votato, ma anche tutti gli altri; per cui, a tutti quanti occorre rispondere. All’inizio furono due consiglieri del Movimento Cinque Stelle che videro in me la candidata ideale, per il mio curriculum, la mia conoscenza del mondo della scuola, ma io mi fidavo poco della politica, di cui spesso arrivano a noi tutti attraverso i media notizie poco lusinghiere, molto lontane da quella Politica di Aristotele che avevo studiato sui libri. Questo confronto della teoria con la realtà mi faceva esitare. Alla fine mi sono lasciata convincere, risultando la prima donna più eletta di una parte del Piemonte, così ho potuto presentarmi alle elezioni e da lì, in seguito alla mia elezione, sono entrata in Parlamento, momento di grande emozione; lo svolgimento delle pratiche burocratiche ha preceduto il mio ingresso alla camera dei deputati, e ricordo quei momenti sempre accompagnati da una singolare sensazione: come se la mia vita, allora, mi scorresse davanti, e potessi rivivere tutti i sacrifici fatti, gli eventi che mi avevano condotto fino a lì, a sedere al fianco di persone viste fino a quel momento solo in televisione. Ci si rende poi conto che in qualsiasi compagine politica ci sono persone per bene e altre che lo sono un po’ meno, persone un po’ più preparate e altre che lo sono un po’ meno, quando ti scontri con la realtà assumendo un incarico di governo molte cose poi le ridimensioni, perché capisci quanto sia complessa la macchina dello Stato.
Non deve essere stato facile rivestire il ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione durante il delicato periodo della pandemia da Covid…
Il mio giuramento si è svolto nel gennaio 2020, a febbraio è stata dichiarata la pandemia, non ho potuto essere ministro in tempi ordinari, ma in condizioni straordinarie, particolarmente difficile anche per il fatto che le mie risposte non potevano essere univoche nel territorio nazionale, perché esiste una eterogeneità di situazioni scolastiche: ad esempio la scuola del centro di Milano non è quella della periferia milanese, dunque andrebbero gestite con strumenti diversi. Per questo motivo organizzavo frequentemente riunioni con i docenti e i dirigenti scolastici dei vari plessi, poiché dal centro, da Roma, non si può mai conoscere l’effettiva situazione, né comprendere le diverse esigenze a cui dare risposta. Per provare a dare veramente una mano bisogna capire, ascoltare, esaminare il problema da vicino.
Quanto il suo mondo culturale (la laurea in Filosofia, e poi quella in Legge, i valori umanistici da Lei appresi durante gli studi) ha interagito con le professioni che ha scelto, dal servizio politico alle carriere di insegnante e dirigente scolastico?
Dal punto di vista dei rapporti umani la preparazione filosofica è stata fondamentale, e lo è tuttora, poiché aggiornarsi è sempre importante e gratificante; se ho potuto rivestire gli incarichi in particolare di Ministro e dirigente scolastico è soprattutto grazie alle competenze giuridiche. Una laurea in Legge fornisce infatti dei validi strumenti che reperire da soli è meno semplice. L’unione in realtà di questi due mondi, apparentemente così diversi, ha dato completezza alla mia formazione, e mi ha preparato alla gestione dell’amministrazione pubblica che implica sia le competenze di diritto amministrativo, civile, penale e sia le competenze imperniate sulle relazioni umane, capacità di ascolto, grande attenzione nei confronti degli altri e capacità di “vestire i loro panni”, doti fondamentali in un iter educativo. Il dirigente in particolare si interfaccia con una comunità molto estesa, costituita da almeno cento docenti, personale ATA, allievi, genitori, spesso famiglie allargate, e si ritrova ad essere punto di riferimento per tutte queste persone.
Da Ministro che relazione è riuscita a stabilire con i protagonisti del mondo della scuola?
Ho sempre tenuto un filo diretto con insegnanti, dirigenti e studenti. Ero sommersa da lettere bellissime e la sera ho sempre dedicato del tempo a rispondere a queste richieste di informazione, conforto, attenzione con comunicazioni, messaggi, telefonate. Mi scrivono ancora oggi da tutte le parti d’Italia, tutti i giorni, e la cosa che più mi regala gioia è il messaggio ricorrente nelle loro comunicazioni “Noi sentivamo che lei era una di noi”. Con tutte le difficoltà di quel periodo, nonostante gli insulti che posso aver ricevuto sul momento, hanno poi tutti riconosciuto che sono stata presente.
Quali intende come maggiori successi personali della sua carriera politica?
Gli investimenti economici che sono stati fatti sulla scuola per me sono stati motivo di orgoglio perché io sono un’insegnante, oggi dirigente scolastico, e da insegnante avevo patito sulla mia pelle i tagli che erano stati fatti alla scuola, dunque investire dieci miliardi di euro per la scuola significava riconoscerle quel ruolo sociale importante che di diritto le spetta. Aver avuto la possibilità di investire per agevolare ad esempio gli studenti meno abbienti. Ricordo nell’estate 2020 avevamo stanziato 265 milioni di euro per l’acquisto di libri, kit didattici, per quegli studenti che non potevano permetterseli: era fondamentale non soltanto garantire l’inizio delle attività didattiche, ma anche gli strumenti necessari per tutti. La campagna mediatica in quel periodo fu feroce, e solo legata alla questione dei banchi (superflua perché ogni scuola ha scelto quello che voleva, rispetto a ciò che già utilizzava) poi attraverso l’edilizia scolastica leggera abbiamo ricavato nelle scuole 40000 aule in più; nell’anno in cui sono stata al governo abbiamo derogato infatti la riforma Gelmini, e con le risorse che avevamo è stato possibile sdoppiare classi troppo numerose. Altro motivo di orgoglio sempre quell’estate fu la possibilità di far fare agli studenti della scuola secondaria di secondo grado la maturità in presenza, era certo un esame diverso, per tener conto delle mutate condizioni, ma ciò ha significato riaprire la scuola, e dopo tre mesi di chiusura questo passaggio avrebbe poi preparato anche alla riapertura di settembre. All’inizio gli studenti erano terrorizzati, ricevevo molte lettere di ragazzi che non volevano fare gli esami di Stato in presenza, dopo però mi hanno persino fermato per strada, entusiasti, ringraziandomi perché finalmente sentivano di essere ritornati alla normalità. È stato un momento non solo formativo ma anche emozionante per docenti e studenti. Ci sono stati paesi come l’Inghilterra, la Francia che hanno totalmente cancellato gli esami, noi li abbiamo fatti, li abbiamo fatti con un protocollo sanitario rigido, prevedendo anche accordi con i sindacati, e tutti erano tutelati e protetti, infatti le cose sono andate molto bene.
Esaminiamo l’impatto della scuola sulla realtà sociale del nostro Paese.
Ha un ruolo sociale determinante, che però non le viene riconosciuto: ed è questo il dramma del nostro Paese. Pensare ad esempio che la Scuola non produca PIL è un grave errore. Nel momento in cui l’insegnante produce competenze nell’allievo, quelle competenze un giorno si trasformeranno in posti di lavoro, in start up, in idee, e tutto questo produce PIL. Per non parlare del problema della dispersione scolastica: perdere per strada studenti ha un costo enorme per lo Stato. Persone che un giorno non lavoreranno, non studieranno, e rischieranno di essere facili prede della criminalità organizzata. Anche gli stipendi degli insegnanti italiani non rispecchiano il ruolo sociale che l’insegnante dovrebbe avere, perché l’insegnante ha un ruolo sociale spesso sottovalutato: noi formiamo cittadini a scuola, e la scuola non è solo il presente di un Paese, è soprattutto il suo futuro. Lì si apprendono le regole, cos’è la convivenza sociale, le scuole sono delle piccole società in miniatura, e spesso non ci si accorge di quanto importante sia il ruolo degli insegnanti che a mio parere salvano vite umane esattamente come fanno i medici. Insegnanti bravi riescono a trascinare gli studenti dalla loro parte e dar loro un futuro, soprattutto nelle zone più fragili del Paese, dal punto di vista sociale, economico e familiare.
Quali sono i punti di forza, e di fragilità, della scuola italiana?
C’è tanto da migliorare, sia dal punto di vista delle strutture scolastiche che della formazione del personale scolastico. Oggi risulta difficile parlare di scuola italiana, sarebbe forse meglio parlare di scuole italiane, in totale noi abbiamo 40000 plessi scolastici e più di 8000 autonomie scolastiche in Italia, e ognuna è una storia a sé, ne esistono di moderne, con arredi nuovi perché in passato hanno saputo ben investire i fondi europei che arrivavano, non hanno restituito nemmeno un euro, e ci sono invece realtà più arretrate dove i soldi non sono stati spesi e sono tornati indietro. E questo poi fa la differenza tra una scuola e un’altra. La scuola italiana, e questo è un problema, è tendenzialmente conservatrice. Entri nelle classi e la disposizione dei banchi è uguale a cento anni fa: il docente da una parte, e gli studenti dall’altra. Se pensiamo ai modelli di scuola del Nord Europa, la Finlandia per esempio, o la Svezia, hanno tantissima cura anche della libertà degli studenti, della loro responsabilizzazione; noi viviamo in un Paese, e non certo per colpa degli insegnanti, in cui qualunque cosa si faccia ci si ritrova ingabbiati all’interno di situazioni burocratiche che non lasciano scelta, faccio un esempio, in Finlandia se i ragazzi vogliono trascorrere l’intervallo fuori, hanno il cortile a disposizione, e non sono sorvegliati dagli insegnanti, e se accade qualcosa non partono i ricorsi contro gli insegnanti come succede in Italia, c’è lì un senso di responsabilizzazione forte. Ci sono anche strutture diverse, le scuole hanno cucine, spazi vivibili, in Italia questo manca, ad eccezione di alcune scuole dove la gestione è stata più innovativa e meno conservatrice.
Concludiamo parlando dei ragazzi di oggi, i giovanissimi lettori di Spazi Esclusi, come sono e quale messaggio vorrebbe consegnare loro?
Li trovo straordinariamente sensibili, hanno strumenti che noi non avevamo e spesso sono dotati di una spiccata intelligenza, ma li trovo anche, in alcuni casi, fragili. Hanno vissuto la fase non semplice della Pandemia, e non sempre sono compresi dagli adulti, come storicamente questo è sempre accaduto. Ciò che più a loro serve è la possibilità di confrontarsi con adulti in grado di fornire loro validi esempi concreti, non legati al piano del linguaggio ma a quello dei fatti. Sono molto più aperti al mondo rispetto a quanto potevamo esserlo noi. Non hanno pregiudizi e hanno meno esitazioni degli adulti perché sono cresciuti a contatto con la multiculturalità. Ho un’ottima opinione dei giovani di oggi che però, a mio avviso. dovrebbero essere meglio accompagnati dagli adulti.
Quali priorità ha stabilito per il futuro?
Ho deciso di tornare al mio lavoro, dopo l’esperienza da Ministro, se questa sarà una scelta definitiva o meno non saprei dirlo con certezza. Di certo però qualsiasi cosa io scelga di fare, ci sarà comunque sempre nel mio cuore quell’idea di Stato, di comunità, l’idea del lavoro, qualunque esso sia, inteso come servizio: mettere a disposizione degli altri quello che sai fare. In questo momento come priorità assoluta ho la mia comunità scolastica, poi di certo anche creare collaborazioni con le altre scuole, portare avanti eventi culturali anche all’interno delle scuole e, non ultimo, dedicarmi all’esperienza della maternità, ormai prossima, che di certo richiederà molte delle mie energie: questo sarà sicuramente un altro bel viaggio, un’avventura tutta nuova da esplorare!
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