La rubrica di “Monologhi d’autore” vuole dare oggi voce a Vincenza Tomaselli, una scrittrice innamorata dell’universo complesso del linguaggio che rivela ai lettori di Spazi Esclusi la profondità della sua relazione con sé stessa e con l’Arte, e l’originalità del suo “mondo capovolto”.
Pubblicista, collaboratrice di giornali locali, direttrice di testate, radiofonica. Vuole, però consegnarci poche frasi, alcuni ricordi, per rievocare i suoi esordi come scrittrice?
A quattordici anni mi innamorai di una frase di Seneca “Incombe morte più grave, su colui che noto a tutti muore ignoto a sé stesso”. E allora capì che la cosa che dovevo fare nella vita era conoscermi profondamente, per riuscire a conquistare quella leggerezza. “La voce a me dovuta” nel 2008 (un omaggio al poeta Salinas e al suo “La voce a te dovuta”) nasce dall’esigenza di rivelare a me stessa tutto quello che non ero stata capace di dirmi in tanti anni di vita, sempre con atteggiamento letterario introspettivo, mia peculiarità. Seguivano collettive letterarie, racconti, altre esperienze artistiche culminanti nella stesura del “Novantanovesimo cancello”, altro tassello di questo percorso introspettivo.
Di cosa si nutre il suo talento letterario?
La mia sembra una letteratura al limite della schizofrenia, in cui è difficile distinguere il reale dall’irreale. Per questo è stata definita surrealista. Non è errato, letteralmente il termine significa “sopra il reale” e a volte ho la sensazione di stare su una nuvola e osservare ogni cosa dall’alto. L’immaginazione è la mia forza, faccio ancora, nei momenti difficili, quella cosa bellissima che i bambini fanno: chiudo gli occhi e penso di essere invisibile. Mi restituisce il senso di una vita vissuta in compagnia di quel fanciullino di pascoliana memoria che dovremmo custodire sempre.
Cosa l’ha condotta alla Scrittura?
Mi rifugio nell’immaginazione. Scrivo per urgenza terapeutica. Leggo per ricordare e scrivo per dimenticare.
Cosa le ha dato l’Arte?
L’autenticità delle emozioni, è un mondo dove non hai bisogno di fare buon viso a cattivo gioco, tutto ciò che provi è immediatamente riconducibile a una scultura, un quadro, una musica: non hai bisogno di nasconderti. La fatica è inserire l’Arte nella vita di tutti i giorni, ricevo della matta, della visionaria che non campa tra cielo e terra ma in un mondo tutto suo. Il mio è un mondo capovolto, titolo, non a caso, del mio ultimo libro: e in questo mondo capovolto ci si sta talmente bene che mi piacerebbe che ognuno riuscisse a trovare il proprio mondo capovolto, che è fatto di cose brevi, perché nella brevità c’è anche la riduzione del dolore, della rabbia, dell’insoddisfazione, come se la vita si dovesse vivere un po’ a “pizzini”, esattamente come io vivo, e scrivo.
Dalle sue parole emerge una corrispondenza quasi esatta tra il piano della scrittura e quello della vita…
Io sono quello che scrivo. Un concetto mi appartiene moltissimo, lo scrissi di getto dopo una lite. “Noi siamo le parole che pronunciamo” se ascoltiamo con attenzione, allora possiamo renderci conto che la parola che la gente pronuncia, con la sua enfasi, il suo timbro, dice molto di più del ragionamento per intero. Già con la cernita gentile delle parole, si dimostra di più. La parola è sacra. Per un anno e mezzo mi sono dedicata alla ricerca etimologica delle parole, e del loro senso, carico emozionale. Ho scomposto e ricomposto le parole, stravolto il loro senso, questo mi ha portato a ridare un nuovo significato all’intero dizionario. Questo è l’orizzonte in cui esisto.
Alcuni anni fa ha deciso di indossare una camicia di forza in occasione delle presentazioni del suo libro “Novantanovesimo cancello”. Vuole spiegare quel gesto?
Volevo capire cosa significava il contenimento delle emozioni. Una volta un giornalista mi chiese se era tutta scena e io dissi: questo è un modo per far capire che io la metto solo nelle grandi occasioni, molti di voi la indossano tutti i giorni e non se ne rendono conto.
È sempre così anticonformista e fuori dagli schemi?
Sì e ne pago quotidianamente il prezzo, un prezzo altissimo, che però sono felice di pagare. Sono fedele al mio mondo, lontano dalle norme sociali, scorporata, non seguo nessuna regola se non quelle del rispetto e dell’amore, prima di tutto nei miei confronti, e poi nei confronti del prossimo, della natura, della società in genere. Non riesco a vivere dentro una teca e sottostare a determinati schemi. Amo l’Arte perché non risponde a nessuna regola, ma ai corsi e ricorsi storici: se ne va in giro nuda o si cuce dei vestitini addosso in base al periodo che attraversiamo, ma non ha regole, numerosi grandi ce lo testimoniano.
Quale citazione letteraria maggiormente la racconta?
“Ho più ricordi che se avessi mille anni” questa frase di Baudelaire mi rappresenta. Non mi piace procrastinare, né il bisogno che ho di qualcuno, o il bisogno che ho di me stessa, né il bisogno che ho di intraprendere o di ricominciare da zero. Ho una grande fiducia in questa vita e nell’ altalena delirante delle straordinarie esperienze che offre.
Copyright ©️ 2020-2030, “Spazi Esclusi” – Tutti i diritti riservati
“Monologhi d’autore” è uno spazio d’intervento riservato alla libera creatività di persone competenti che intendano condividere vissuto o esperienze, professionalità o approfondimenti culturali a beneficio dei lettori di Spazi Esclusi.
Invia il tuo contributo all’indirizzo: info@spaziesclusi.it