Conosciamo davvero l’uso appropriato delle parole? Oppure alle volte ne abusiamo, forti di quel sentirsi liberi di manifestare il proprio pensiero. Libertà di comunicazione e di pensiero sono alla base dei principi costituzionalmente garantiti. La dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 definisce “Libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni, uno dei diritti più preziosi dell’Uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. In Italia l’articolo 21 comma 1 della Costituzione afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La formula costituzionale (cosiddetta aperta) garantisce e riconosce il diritto a tutti i cittadini, ed inoltre permette di far rientrare nella tutela costituzionale situazioni, diciamo, più al passo con i nostri tempi. Garantisce il diritto non solo in senso positivo, quindi manifestare attivamente e liberamente il proprio pensiero, ma anche quello negativo, ossia la sacrosanta libertà di esercitare intimamente e elaborare le proprie idee. Ma possiamo davvero esprimere qualunque pensiero, scrivere di tutto e diffondere la propria opinione senza alcuna riserva? Certamente il rispetto e la dignità nei confronti dell’altro non prevede il pulsante “metti in pausa”. Infatti, lo stesso art. 21 della Costituzione impone dei limiti, espliciti ed impliciti. I limiti espliciti alla manifestazione del pensiero fanno espresso riferimento al buon costume: “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Si tratta di una clausola generale, una sorta di contenitore da modellare applicandolo al contesto, all’evoluzione del momento storico e sociale, perché ricordiamo che il diritto non è immutabile. Quanto invece ai limiti impliciti si richiamano i valori esistenziali, quei diritti legati alla persona umana in quanto tale e pertanto indisponibili, e di conseguenza il pericolo di incappare nei cosiddetti “reati di opinione” ingiuria, calunnia, diffamazione, istigazione a delinquere. Questione, quest’ultima che da sempre ha portato ad uno scontro tra libertà di espressione e il limite di intervento in ambito penale. Sì, perché il monito penale, e di conseguenza la sanzione, trova il suo fondamento nella tutela degli interessi delle persone offese. Dunque, non possiamo fare e dire tutto quello che ci passa per la mente. La libertà di manifestare il proprio pensiero ricomprende tanto il diritto di informare, quanto il diritto ad essere informati. Un bilanciamento di diritti oggi difficile da raggiungere, soprattutto se pensiamo al repentino sviluppo delle tecnologie informatiche e di quella “informazione spazzatura” incontrollata a discapito dei diritti fondamentali della persona umana. Esistono delle regole di buona condotta a cui gli utenti del web dovrebbero attenersi nel rispetto degli uni verso gli altri, ma non trovano propriamente un riconoscimento e di conseguenza le sanzioni sono difficili da applicare. Senza facili buonismi dovremmo, forse, investire sulla comprensione di noi stessi e dell’altro, mentre laddove le parole non servono fare silenzio!
“Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo”. I. Kant.
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Sono Simona, avvocato, docente di Diritto e criminologa. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Catania. La curiosità verso quei circuiti e/o cortocircuiti della mente e dell’ambiente circostante mi ha portato ad esplorare tanti micro mondi lasciati nell’ombra. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli invisibili, raccontando il mondo con serietà ed una buona dose di ironia. Ispirata dalla ricerca di quella Dea cieca che spinge una “mini-toga” a guardare sempre avanti con impegno. Il mio biglietto da visita: “Lo si voglia o non lo si voglia, io giustizia e verità impongo!” (Dario Fo).