Eccole arrivano a frotte!

Queste giovani e incerte parole si affollano in mente

Il sonno diventa un caravanserraglio

Spintoni e gridolini, chi vuol la prima fila e chi non ha proprio voglia di farsi notare

Pian piano ecco che escono scompostamente

In primis arriva “IO” tronfio e sicuro vuol esser sempre il primo!

Poi “TU” un po’ dolce e un po’ strafottente

Segue “AMORE” che brilla di molti colori

Ma ecco far capolino “SE” che incerto si guarda intorno indeciso se andar di qua o di là

Lo segue “FORSE” che tenta di nascondersi dietro ma inutilmente

Arriva infine “UN GIORNO” ma sembra non ci sia più posto in questo ricettacolo di condizionali e di passato remoto, di segni esclamativi e lecite domande

Dal fondo viene fuori “ORA” che mette tutti in riga: tu qui, tu lì, lei là!

Ecco che prende forma il mio pensiero: un piccolo manipolo scomposto adesso è un’orchestra che vibra una musica dolcissima.

È così che accade soprattutto la notte. Difficile a volte è il dormire e come d’improvviso parole si succedono nella mia mente. Come se le quotidiane riflessioni trovassero una loro dimensione e fluissero libere di andare e prender forma. Vanno leggere e con vita propria quasi che io fossi solo un mezzo per dare loro vita. Rimango sempre un po’ stupita quando rileggo questo piccolo esercito di pensieri e mi ritrovo a giocare con loro, spostandoli di qua e di là. Un punto o un punto e virgola, una congiunzione o una parola omessa: un gioco a rimpiattino fra me e questi strani segni sul quaderno. Come faremmo senza? Come rappresentare la percezione del circostante per condividerla con gli altri? Esprimersi è una necessità, riuscire a rendere in parole il proprio io un dono.

Lo stupore d’essere travolti da mille sensazioni e riuscire ad esternarle lo ritroviamo nei versi di Neruda

La poesia

“Accadde in quell’età… La poesia

Venne a cercarmi. Non so da dove

Sia uscita, da inverno o fiume.

Non so come né quando,

no, non erano voci, non erano

parole né silenzio,

ma da una strada mi chiamava,

dai rami della notte,

bruscamente fra gli altri,

fra violente fiamme

o ritornando solo,

era lì senza volto

e mi toccava.

Non sapevo che dire, la mia bocca

Non sapeva nominare,

i miei occhi erano ciechi,

e qualcosa batteva nel mio cuore,

febbre o ali perdute,

e mi feci da solo,

decifrando

quella bruciatura,

e scrissi la prima riga incerta,

vaga, senza corpo, pura

sciocchezza,

pura saggezza

di chi non sa nulla,

e vidi all’improvviso

il cielo

sgranato

e aperto,

pianeti,

piantagioni palpitanti,

ombra ferita,

crivellata

da frecce, fuoco e fiori,

la notte travolgente, l’universo.

Ed io, minimo essere,

ebbro del grande vuoto

costellato,

a somiglianza, a immagine

del mistero,

mi sentii parte pura

dell’abisso,

ruotai con le stelle,

il mio cuore si sparpagliò nel vento.”

La poesia, Memoriale di isla negra, 1964

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