Cari lettori, le migliori storie iniziano sempre con un “C’era una volta”, proprio come quella scritta dallo psicoterapeuta Claude Steiner: C’era una volta un luogo, molto, molto, molto tempo fa, dove vivevano delle persone felici. […] Vedete, in quei giorni felici, quando un bimbo nasceva trovava nella sua culla, posto vicino a dove appoggiava il suo pancino, un piccolo, soffice e caldo sacchetto morbido. E quando il bambino infilava la sua manina nel sacchetto, poteva sempre estrarne un… caldomorbido. Inizia così la favola dei caldomorbidi, un termine assai bizzarro per denominare un gesto così antico come la carezza la cui metafora, a mio avviso, è a dir poco affascinante. Nella nostra vita le carezze rappresentano un segno imprescindibile di crescita, di benessere, di calore e morbidezza da donare e condividere con generosità. La carezza va oltre il semplice contatto fisico, è uno scambio, un riconoscimento dell’esistenza dell’altro per noi, è una vera difesa contro la tristezza. La carezza è fatta di sguardi, di parole, di saluti, di sorrisi ma anche di silenzi. Le manine dei bimbi, che nella favola afferrano da dentro il sacchetto un caldomorbido, portano un messaggio importante, quello del dono, del desiderio di appartenere a qualcosa o a qualcuno, e rimangono in attesa di un incontro, di un contatto, di una complicità che può trasformarsi anche in un distacco. I legami umani, infatti, si consumano non solo di baci e abbracci ma anche di conflitti e ostilità, di freddoruvidi per dirla alla Steiner, portando la persona a curvarsi, ad ammalarsi nell’anima e nel corpo, imparando a vivere in un vuoto emozionale ed intellettivo che provoca molto dolore. Perché, dunque, sarebbe auspicabile che ognuno di noi si ritrovasse nell’arco della propria vita con le mani nel sacco? Credo che la risposta sia già scritta nel nostro DNA, proprio perché tutti gli esseri umani, sin dal momento del loro primo gemito, esprimono un bisogno innato di intimità, di “fame di carezze”, per citare il nostro caro Eric Berne padre dell’Analisi Transazionale, una fame di vita. Dunque, è proprio vero che “non di solo pane vive l’uomo”, ciò che serve a crescere in virtù e bellezza è qualcosa che non si compra con il denaro ma si accumula con il tempo e si cura con fiducia e rispetto. Mi auguro che ognuno di noi possa sperimentare la sensazione di “ri-trovarsi” con le mani nel proprio sacco, e scoprire quel coraggio di donare, in modo autentico, a sé e a chi ama, quell’affetto e quella gentilezza che fortifica, nutre e trasforma ogni essere umano in una persona unica ed amabile.
Sono Nathalie, una psicologa e psicoterapeuta analitico transazionale, specializzata nell’ ambito dell’età evolutiva. Il mio lavoro mi porta ad accogliere i racconti di vita della gente comune che, con fiducia e passione, affida a me quella parte di sé che merita di essere vista, ascoltata e curata. Con i miei interventi in questo Magazine spero di accompagnare ciascun lettore verso una nuova scoperta dei propri cinque sensi, elementi importanti per ridestare quell’attenzione e quello stupore verso sé stessi e per nutrire una sensibilità e maturità emotiva verso il nostro stesso mondo.
Alfonsina
27 Febbraio 2019 — 16:56
Veramente pieno di poesia! Ognuno di noi è alla ricerca di affetto e tenerezza! Mi piacerebbe poter collaborare al tuo magazine!