Prima guerra mondiale. In trincea si spara, si soffre, si muore. Una donna è nel suo laboratorio di “maschere”, sta guardando la foto di un militare in alta uniforme. Accanto a lei siede un uomo, quello stesso uomo della foto. Non sembra più lo stesso, la guerra lo ha reso diverso dentro ma soprattutto fuori. Il suo bel volto non esiste più, così come la sua identità, ma lei potrà fare qualcosa per lui. Gli restituirà un volto, dignità sociale e voglia di vivere. Chi era Anna Coleman Ladd? Scultrice statunitense nei primi del ‘900 fece dell’arte uno strumento etico al servizio dei più sfortunati. Anna vive nel difficile periodo della prima guerra mondiale, sposata con un medico, si trasferisce in Francia e sarà qui che inizierà una professione ma anche la sua personale missione. Conosce infatti Francis Derwent Wood, fondatore a Londra del Dipartimento di Maschere per visi sfigurati e insieme realizzano una struttura analoga a Parigi denominata Studio per le maschere-ritratto. L’emergenza che si presentò agli occhi di Anna fu di restituire un’identità ma anche una vita “normale” a quei militari che avevano subito mutilazioni invalidanti in volto, parte vulnerabile perché scoperta, durante i conflitti. Le esplosioni, a causa di granate, artiglieria e gas mostarda, producevano gravi lesioni ed era spesso impossibile per i medici di allora ricostruirne le fattezze originarie. Gli interventi, talvolta, salvavano la vita ma lasciavano sconvolgenti mutilazioni e profonde cicatrici. Quei visi deturpati creavano sgomento sociale, profonde depressioni e un alto tasso di suicidi. Provati fisicamente dalla guerra, una psiche resa fragile da un aspetto che suscitava commiserazione, era il destino che spettava a molti sopravvissuti le cui ferite erano spesso ricucite senza cura e in fretta per evitare le infezioni. L’idea che avanza l’artista fu di ricostruire e quindi restituire l’identità a quegli uomini, creando delle maschere che riproducessero i tratti del volto partendo dallo studio del danno facciale e del materiale fotografico del volto originario. Si partiva da calchi in gesso, ricostruzioni plastiche, con argilla o plastilina della parti mancanti per poi realizzare una maschera in rame galvanizzato, quindi sottile e leggera. La maestria dell’artista adattava il colore della maschera a quello della pelle e i dettagli di ciglia, sopracciglia e baffi erano fatti con capelli veri. Spesso non si trattava di ricostruzioni dell’intero viso ma di parti di esso come menti, mandibole e bocche. Queste protesi erano poi fissate al volto con dei lacci o finti occhiali. Il miracolo era compiuto e nonostante la fissità di questi volti si poteva condurre una vita di relazione “possibile” e sotto quelle maschere nascondersi per non attirare troppi sguardi indiscreti. L’artista si occuperà di quest’attività tutta la vita e realizzerà 185 maschere. Per il suo lavoro certosino, la grande dedizione disinteressata e il nobile fine etico, le fu conferita nel 1932 la Legion d’ Onore dello Stato francese.
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Sono Carmen, classe ’78, e dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania e la specializzazione in grafica inizio un percorso di poliedriche esperienze: mostre d’arte, insegnamento, architettura, design e pubblicità. Con le altre socie, dal 2014, sono cofondatrice dell’Associazione Culturale “Le Ciliegie” dove rivesto l’incarico di copywriter e mi occupo di grafica 3D.