L’estate del cauto ottimismo ha ceduto lentamente il passo ai climi più frizzanti e siamo tornati alla normalità, condizione che abbiamo a lungo reclamato e in nome della quale siamo pronti a sacrificarci. Sembrerebbe un discorso contraddittorio, ma se normalità oggi deve fare rima con sicurezza, la percezione sarà per molti di noi quella di una libertà condizionata. “Fermare la pandemia: la salute e la sicurezza sul lavoro possono salvare la vita” è stato lo slogan della Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza 2020, organizzata in piena emergenza lo scorso Aprile dalle Nazioni Unite in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del lavoro. In questa sede, forse per la prima volta a livello globale, è stato manifesto che la scala dei rischi legati alla salute, nella dimensione sociale in generale e in quella lavorativa nello specifico, trovasse al suo vertice le malattie infettive e quindi il virus del COVID-19. E da allora in avanti si sono succeduti, a livello internazionale e poi nazionale, appelli, inviti, raccomandazioni e linee guida attinenti alla tutela fisica e psicologica dei lavoratori (prima di tutto di quelli in ambito sanitario) e con essi sono state sperimentate soluzioni sostenibili nel breve, medio e lungo termine.
Normalità, per lo meno in Italia, significa allontanare ogni ipotesi di nuovo lockdown anche in caso di una più importante diffusione dei contagi e le scelte della politica vanno in direzione del ritorno a regime per quelle attività lavorative precedentemente svoltesi in modalità smart, ovunque questo sia possibile. Così come il mondo del lavoro, anche la scuola si è adeguata agli standard di sicurezza: le campanelle sono tornate a suonare come mesi fa, ma gli allievi hanno trovato ad attenderli luoghi e tempi diversi da quelli che avevano lasciato a Marzo: aule ampliate, accessi contingentati, banchi monoposto, dispositivi di protezione, orari di uscita differenziati e tanto altro. Un investimento in efficienza di cui la scuola avrebbe già necessitato in passato, ma che solo l’imminenza del pericolo ha reso concreto e più o meno immediato. Il rischio zero non sarà garantito, ma si sta provando a contenerlo. E la didattica si salverà? Che sia interamente in presenza o digitale integrata (DDI, una parte degli alunni in classe e l’altra in casa) riuscirà a frenare l’emotività individuale e collettiva di questo tempo per condurre ancora i giovani alla condivisione delle idee e al libero esercizio della conoscenza? Questa la missione impossibile degli insegnanti nell’anno scolastico appena cominciato: mettere a disposizione il sapere, senza scendere a compromessi.
Sono Iolanda, giovane insegnante di Lingue straniere, traduttrice ed esterofila. Ho studiato a Catania e poi a Roma, passando per Madrid. Ci ho messo poco a capire che la mia vita sarebbe girata intorno al mondo della formazione dei giovani. Vorrei che tutti loro imparassero ad amare le culture straniere, oltre che le lingue. Perché gli idiomi sono strumenti che, allo stesso tempo, rivelano integrazione e tutelano identità.
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6 Febbraio 2021 — 12:44
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