Lo conosciamo tutti come l’imprenditore siciliano mecenate della cultura, il Presidente della Fondazione Fiumara d’Arte, l’infaticabile organizzatore di progetti artistici che hanno avuto il merito di coinvolgere i giovani nelle scuole, anche delle periferie più difficili, ma Antonio Presti è soprattutto un uomo che ha usato il linguaggio dell’Arte per creare bellezza e ha coordinato talenti, promosso sinergie, diffuso conoscenza restando caparbiamente sul cammino etico della responsabilità dell’azione trasformativa. Con le sue manifestazioni, gli eventi, e con i suoi progetti laboratoriali ci ha insegnato che l’Arte non è punto d’arrivo dei nostri sguardi, ma dimensione da abitare e in cui esistere insieme. Ha ora in progetto la realizzazione di un grande museo sull’Etna, per riportare respiro artistico lì dove oggi troviamo consumismo. Imminente sarà la conferenza stampa che coinvolgerà i venti comuni sull’Etna. Prosegue intanto l’impegno di Librino, quartiere rivalutato, con i laboratori didattici che coinvolgono le scuole. Esaminiamo, per Spazi Esclusi, attraverso un dialogo aperto, la forza motrice del pensiero di Presti, quella contagiosa fiammella di amore verso l’Arte e la conoscenza, che sta alla base del suo instancabile “fare”.
Nella sua missione di investimento sulla cultura ha trovato più oppositori o sostenitori?
Quando si sceglie il valore della differenza, nella vita, si sceglie anche il valore di un’eresia, un’eresia laica. L’eresia, come sua anima, non contempla né l’opposizione né il sostegno. Inizialmente nella mia vita l’opposizione si è manifestata con tutti i suoi poteri, dai sindaci oppositivi, al potere precostituito, allo Stato che mi ha sottoposto a vent’anni di processi alle opere, manifestando il dissenso di chi non accetta la differenza. Quando si manifesta il dissenso uno può inizialmente, soprattutto in gioventù, rivendicare l’opposto, quella condizione che poi ci porta ad essere vittime o eroi: io ho superato questa prova e oggi a sessantatré anni invece di rivendicare io ringrazio, ringrazio anche quegli oppositori perché, grazie a loro, io ho scritto il valore della differenza, e questa è la bellezza. Questa è l’eresia.
C’è qualcosa in questo percorso che le ha dato la forza di andare avanti? Da cosa ha tratto questa energia di seguire il suo cammino in maniera così coerente?
Io penso che la potenza più forte dell’uomo sia l’innocenza. Noi la perdiamo nel passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Quando però da adulti, innocentemente, si manifesta la differenza, il potere non ha la forza di irretirci né di ferirci. È, tuttavia, l’innocenza, una forza sempre compromessa dalla mediocrità e dalla dualità del mondo.
Qual è il significato dell’Arte?
È un medium per essere conduttori di opera, ma l’opera d’arte non è il manufatto, la forma che si crea, l’opera d’arte è ritornare a sentirsi universalmente parte del tutto. Quello è il messaggio più potente, di stupore, di meraviglia, di emozione che l’Arte deve restituire al pubblico. Deve restituire emozione e insieme un’identità universale che grazie al pensiero dell’Arte l’uomo può ricontattare come suo senso.
C’è un episodio che ricorda della sua infanzia o adolescenza che le ha fatto comprendere con chiarezza questa sua inclinazione verso l’Arte?
Alla morte di mio padre, avevo vent’anni e di fronte a un bivio esistenziale, anziché continuare l’impresa di appalti pubblici ho scelto un’altra impresa, non di manufatti ordinari, ma votata alla restituzione di azioni straordinarie, di emozione: da tutto questo nasce l’impegno etico, la rivalutazione dell’Arte nelle periferie di Catania.
Da un momento di crisi si è scatenata questa energia. Il negativo nell’esistenza può avere dunque una funzione altamente edificante?
La sofferenza, la crisi e tutto ciò che intendiamo come negativo, nascono solo dall’unico male nell’uomo, che è il suo Ego. Questo è il limite che restringe la visione dell’uomo. L’Ego si rapporta sempre a un doppio: all’alto, al basso, al bene, al male, alla luce, al buio. E da lì nasce la contrapposizione degli opposti. Dimettendosi autorevolmente da se stessi ritorna il codice più alto dell’universo, non più spezzato nelle visioni prospettiche del “secondo te, o secondo me”.
Questa sua considerazione ci riporta al messaggio fondante della Piramide 38 parallelo (nota come Piramide della Luce nel complesso di Fiumara d’Arte) che ci ricorda che luce è conoscenza che si libera dalle catene dell’ignoranza e del pregiudizio.
Colgo l’occasione del nostro dialogo, oltretutto in questo stato di emergenza sanitaria, per ricordare che la più grande emergenza non è il virus ma l’ignoranza. La dittatura mondiale trova nella paura e nell’ignoranza la sua possibilità di esercizio. E allora se in questo momento siamo “incatenati” da questa dittatura mondiale che intende manovrare i giovani e impaurirli rispetto al futuro, ostacolando i percorsi emotivi e scolastici e imponendoci distanza, ricordiamo sempre che tutto questo divide, e dunque non è bellezza. Io invito ad essere terroristi. Terroristi dell’anima. Della conoscenza: riarmarsi dei libri, conoscere le parole e rispondere alla paura dell’allarmismo con la gioia, la gratitudine. Affinché questo potere del nulla, anestetico del cuore, non trovando il muro del doppio, ma la bellezza dell’universo, non abbia la meglio sulla gioia e sul futuro dell’umanità.
Il problema a volte è che non riusciamo a scorgere la nostra ignoranza: non è questa la nostra peggiore catena, il limite più difficile da superare? Il male della contemporaneità è la cecità. Quando l’occhio non è collegato con il cuore, guarda e non vede. Quando all’occhio si restituisce la vista, con la forza e la potenza del cuore, ritorna la luce. E la luce proviene dall’Invisibile. Ed è l’Invisibile a generare nell’umanità quel valore spirituale di essere bellezza. L’Arte ha la funzione e il servizio devozionale di togliere la cecità nell’uomo.
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.