Si parte perché è agosto, con la famiglia e i bagagli, o solo col bagaglio della fantasia. Nel primo caso è dispendioso, di energia, risorse… ma l’entusiasmo placa ogni sforzo, e si va incontro, mai come in questa estate 2020, a un carnet di restrizioni: mascherina in transito, guanti e igienizzanti, posti a sedere limitati, mete ristrette. Vogliamo rilassarci senza rischiare, vogliamo socializzare senza assembramenti. Vogliamo allontanarci senza perdere il filo, staccare e restare coi piedi piantati in terra. Una fiera delle contraddizioni in cui scegliamo di muoverci con cautela, pur di evadere.
Se invece ci allontaniamo con l’immaginazione, e basta, non ci sono restrizioni ma limiti. Nulla ci vieta di visitare musei virtualmente, accedendo alle apposite app. come spiegato nella rubrica sociale di questo numero, o gli infiniti mondi di De luca e Citati, per dirne due con “Spremute di libri”. Poi certo, va di moda volare come il colibrì di Veronesi, vincitore premio strega 2020, sotto l’ombrellone, più che al ritmo lento e provvisorio di una farfalla. Sono tempi veloci, e con velocità si decide: parto, resto, senza lunghe programmazioni, organizzazioni, senza accarezzare un progetto sin dalla mite primavera, come si faceva prima. Partire è scelta dei coraggiosi o caparbia degli incoscienti? Si parte per negare la realtà stagnante in cui ci troviamo impantanati da marzo, o per accumulare ricordi fortemente decontestualizzati rispetto a questo tempo strano in cui a fatica resistiamo? È una boccata d’aria dall’asfissiante apnea o assumiamo un rischio enorme senza valutarne le conseguenze? I modi e i tempi dettano la risposta. Ma se è innegabile che interrompere la routine può rivelarsi salvifico, a ciascuno lasciamo il suo personalissimo stile nel farlo: a grandi falcate, o restando sul divano. Che poi quello che conta, come non manca di ricordarci Proust, è avere nuovi occhi…e l’andare, aggiungo io, è un pretesto per conquistare spazi esclusi dall’immaginazione, dalla vista, dall’esperienza, perché partire è fare la muta, trasformarsi, non necessariamente perdersi per ritrovarsi, ma qualche volta abbandonare lì, in quella terra del mondo o della fantasia visitata, una parte obsoleta di noi stessi.
Buon viaggio, buona trasformazione!
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.