Quando un vaso si frantuma in mille pezzi si hanno due scelte: ripararlo o buttarlo via. Chi commette un reato deve fare i conti non soltanto con il danno che ha arrecato alla società ma anche con l’offesa e con il dolore arrecati alla vittima. Il procedimento penale si conclude con il giudice che emette una sentenza, attribuisce una pena e i riflettori sul reo, apparentemente, si spengono. Questo modello tradizionale di giustizia retributiva/riabilitativa lascia fuori la vittima, relegata ad essere una parte accessoria e non necessaria nel processo. Ma il vaso resta rotto, e dobbiamo fare una scelta!
Per tale ragione, negli ultimi anni il legislatore ha avviato un percorso parallelo al processo tradizionale dove vengano riconosciuti tutti i soggetti coinvolti dal reato. Il modello di cui parliamo è quello di giustizia riparativa che coinvolge la vittima, il reo e la comunità. Si analizzano le soluzioni del conflitto originato dal fatto delittuoso per favorire la riparazione del danno, con la riconciliazione (ove possibile) tra le parti. Secondo la Direttiva 29/2012/UE, per giustizia riparativa si intende “qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”. Sulla stessa linea anche la Raccomandazione del Consiglio d’Europa 2018 che definisce giustizia riparativa “qualsiasi procedimento che consente a chi è stato offeso dal reato e a chi è responsabile di tale offesa, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni sorte con il reato mediante l’aiuto di un terzo imparziale appositamente formato”. I presupposti per attivare processi di giustizia riparativa sono: che il reato deve permettere di riparare, ove possibile, al danno provocato alla vittima; la consapevolezza del reo che il reato commesso ha delle conseguenze per la vittima e per la società; la vittima assume il ruolo di protagonista, manifestando necessità e bisogni affinché l’autore di reato possa sanare al danno che gli ha causato; la comunità deve essere partecipe al processo di riparazione. Strumento principale per mettere in atto questo processo di giustizia riparativa è la mediazione tra autore del reato e vittima. Tale strumento viene utilizzato soprattutto in ambito minorile, auspicando al recupero del minore che ha commesso un reato ed evitando attraverso lo stigma del reietto di stroncare un percorso evolutivo ed educativo ancora in atto. Nelle disposizioni sul processo penale minorile del D.P.R. 448/88, vengono indicati i principi generali di reinserimento del minore attraverso la crescita e la responsabilizzazione del reato commesso. Si concede, ad autore e vittima, la possibilità di uno spazio di confronto reale attraverso percorsi costruttivi di riparazione. Da un lato si tenta di responsabilizzare l’autore di reato favorendo l’accoglimento e reinserimento nella società, e dall’altro ridurre le sofferenze della vittima alla ricerca di ristoro e risposte (che non sempre riesce ad ottenere) al senso di ingiustizia subita. “Ricambiare il male col male, nella stessa misura, è la maniera più ovvia, ma non la più vera, per ristabilire il turbato equilibrio: il male si ripara veramente solo col bene.” G. Del Vecchio.
Sono Simona, avvocato, docente di Diritto e criminologa. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Catania. La curiosità verso quei circuiti e/o cortocircuiti della mente e dell’ambiente circostante mi ha portato ad esplorare tanti micro mondi lasciati nell’ombra. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli invisibili, raccontando il mondo con serietà ed una buona dose di ironia. Ispirata dalla ricerca di quella Dea cieca che spinge una “mini-toga” a guardare sempre avanti con impegno. Il mio biglietto da visita: “Lo si voglia o non lo si voglia, io giustizia e verità impongo!” (Dario Fo).