Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo. Luciano De Crescenzo, in uno dei suoi scritti, raccontava così l’usanza peculiare dell’area partenopea, nata con probabilità nel secondo dopoguerra. Espresso, macchiato, corretto, decaffeinato: insomma un caffè fuori casa, il gesto più comune del nostro quotidiano diventato di questi tempi un lusso che non possiamo permetterci. Per i caffè che verranno domani, parliamone oggi. E prepariamoci ad acquisire nuove buone abitudini, quando avremo la gioia di tornare alle vecchie: una passeggiata con sosta al bar, due chiacchiere con il vicino di tazzina e, gustato il nostro caffè bollente, ci dirigiamo alla cassa fieri di compiere un gesto simbolico e per nulla fuori moda. Al contrario, la pratica del caffè pagato sembra essere tornata in auge: dalle antiche caffetterie napoletane (vedi il Gran Caffè Gambrinus) ai bistrot più moderni della nostra penisola che la Rete del Caffè Sospeso raccoglie in una lunga lista consultabile online. E oltre confine? I cafés pendientes in Spagna e i Cafés suspendus in Francia si segnano su una lavagnetta dietro i banconi per non perdere il conto. Il New York Times ha lodato la capacità dell’Italia di esportare un rito e la rivista The Atlantic, tramite la penna del noto food writer Corby Kummer, ha recentemente lanciato una sfida alle grandi catene statunitensi affinché il sospeso rientrasse tra le nuove proposte delle loro caffetterie.
Così, ovunque ci troviamo, conosceremo la strada per rendere più dolci le nostre pause di lavoro. Un po’ per tradizione e un po’ per bontà d’animo, sceglieremo di fare un regalo senza incontrare chi lo riceverà. Nessun ringraziamento ci sarà dovuto, quando il cliente chiederà un caffè offerto noi saremo già andati via da un po’. E ci rimarrà il ricordo di avere pensato per due.
Sono Iolanda, giovane insegnante di Lingue straniere, traduttrice ed esterofila. Ho studiato a Catania e poi a Roma, passando per Madrid. Ci ho messo poco a capire che la mia vita sarebbe girata intorno al mondo della formazione dei giovani. Vorrei che tutti loro imparassero ad amare le culture straniere, oltre che le lingue. Perché gli idiomi sono strumenti che, allo stesso tempo, rivelano integrazione e tutelano identità.