Se la più bella del reame dall’incarnato non più madreperla  assaggia volontariamente l’irresistibile frutto avvelenato, cedendo fatalmente a quella famosa tentazione riproposta di recente in tutte le sale cinematografiche, c’è un’altra donna protagonista di un meno noto assaggio sul grande schermo, raccontata insieme alle sue colleghe di sorte da Silvio Soldini: Margot Wolk, costretta a testare il cibo di Hitler, prima che se ne nutrisse lo stesso. Rosa, questo il nome della protagonista del romanzo di Rosella Postorino che racconta la vicenda di Margot, insieme ad altre donne del paese sarà cavia ufficiale del Nazismo, aprendo al lettore uno spaccato dell’epoca ad oggi ancora poco conosciuto.  Il film racconta le sfumature di sentimento del femminile, la colpevole complicità involontaria, le strategie di sopravvivenza, la costante paura, nella cui trama pare intessuta l’intera vicenda storica. Così se la fiaba Disneyana che prometteva incassi da record finisce per deludere le aspettative degli adulti, e cullare i bambini nei piacevoli sogni di sempre, “Le assaggiatrici” ci sveglia brutalmente tutti, mostrando nuovi disturbanti dettagli di un’epoca storica prodiga di ferocia. Che la mela fosse avvelenata non sfiorava neanche l’ingenua testolina della protagonista del cartone animato, nonostante la vecchia di fronte a lei simboleggiasse già nell’aspetto tutto il male del mondo in grado di accanirsi contro l’innocenza;  che il cibo nel piatto potesse essere avvelenato era invece il pensiero costante, e doloroso, delle giovani donne, loro malgrado, al servizio del progetto nazista, non meno velato, ma non così visibile, archetipo del male. Una visione incrociata di due proposte cinematografiche così distanti tra loro, per utenza, genere, modalità di narrazione, potrebbe riservare inaspettatamente identiche e fertili riflessioni etiche. 

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