Il saggio della studiosa propone una visione chiasmica che intreccia e sovrappone responsabilità e ruoli: figli, padri, madri. Tutti lo siamo, lo siamo stati, lo saremo o saremmo, abitando le funzioni in maniere diverse, più o meno consapevoli.   Molte porte, nella teoria del testo, restano chiuse, poiché inesplorate: spalancarle è però fondamentale per predisporci a relazioni soddisfacenti, ed è questo l’intento del libro. 

L’autrice si rivolge direttamente al lettore in quanto figlio: è questo l’essenziale punto di partenza per ciascuno. Tuttavia questo non esclude l’esperienza genitoriale successiva. Si ripercorrono così paradigmi subìti o decisi, in base alla prospettiva assunta. L’obiettivo del testo non è però far scendere sulla propria esistenza un alone di redenzione e perdono tanto agognato quanto nullificante del proprio vissuto emotivo; l’attenzione è piuttosto rivolta alla comprensione di sé, tramite le dinamiche attraversate. “Con i cocci dei dolori passati, intere relazioni sono state costruite”, enucleando così l’irrisolto pregresso, si riconosce nella relazione l’ossatura di un’altro spettro: la relazione viziata. Altro argomento che trova ampio spazio nella narrazione è la presenza dell’emotività, non sempre consentita in famiglia. La misura della sua repressione viene qui esaminata come elemento principe nella costruzione della personalità. Rabbia, disagio, disobbedienza spesso ignorate, vincolate a manifestazioni “accettabili socialmente” possono aver negato il ruolo fondante del pianto come naturale “specchio del dolore”. In alcuni casi errori educativi sono riproposti come strategie apprese, rimbalzando immotivatamente da famiglia in famiglia, con il classico repertorio di ricatti emotivi e frasi che alludono a una presunta radicale ingratitudine dei figli “Ma hai idea di tutto quello che faccio per te?”, “Mi devi rispetto”, “Li comprendi i sacrifici che facciamo per mantenerti?”.  I figli non chiedono di venire al mondo, per questo i genitori “non devono pensare di essere in credito con loro”. Al massimo, ribadisce l’autrice più volte, è il contrario. Il rispetto non passa dal ruolo genitoriale, né dal senso di colpa, semmai è rannicchiato al di fuori del ruolo, nell’essere umano, portatore di qualità che prescindono l’essere padre o madre. La riconoscenza non può nascere da una scelta: l’aver messo al mondo un altro essere umano. Questa inconscia credenza pregiudica generazioni di rapporti familiari impantanati in pretese e diritti privi di fondamento.

Tu non sei i tuoi genitori, Maria Beatrice Alonzi.

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