Woolpit e Banjos: due piccole realtà dell’Inghilterra e della Spagna. Sette secoli di distanza per una vicenda quasi identica, di confine tra fantascienza e folklore. In epoca medievale e poi nell’Ottocento sono emersi per caso, dalle tane dei lupi, due fratellini dalla pelle verde, un maschio e una femmina, incapaci di esprimersi nell’idioma locale. Il colore crea suggestioni, curiosità, ipotesi. Con quel colorito inusuale i bambini sembrano alieni, forse lo sono? Il diverso, se ha una pelle di colore insolito, non lo è forse più chiaramente? I piccoli mettono così alla prova il sentimento di tolleranza, la curiosità scientifica e l’ospitalità di due secoli tra loro distanti, epoche affatto diverse. Sono guardati come un enigma, come un rompicapo divertente o al massimo come una significativa metafora d’altro. Oggi ci chiediamo quanto di allegorico ci fosse in quel colorito strano, quanto di patologico in senso clinico, e quanto di reale. Gli storici del tempo arricchirono di narrazione la cronaca, non solo di verde, forse, ma di certo la colorarono, sembra una vicenda che poggia sul terreno della storia, o forse no, ma che di certo ci insegna qualcosa sull’essere umano, sugli altri, su noi, sulle barriere che poniamo, a dividere le cose, molto più spesso degli specchi. Dopo aver appreso la lingua, nella vicenda medievale inglese, la ragazzina avrebbe narrato con abbondanza di sorprendenti  dettagli, come in una fiaba incantata d’altri tempi, la sua civiltà alternativa presso la leggendaria sotterranea San Martin, un villaggio frequentato da molti uomini e donne ostili alla luce, dalla pelle verde, e l’alimentazione esclusivamente vegetale. Possibile si trattasse di anemia ipocromica, come avrebbe poi ipotizzato la scienza moderna, dal momento che i bambini si nutrivano solo di fagioli verdi? O l’elemento fantasioso ha inteso ammantare del colore della natura il racconto, per accrescere il mistero di bocca in bocca attraverso i secoli, dal XII al XIX? Inoltre, i bambini spagnoli confermerebbero la vicenda precedente, con la loro cronaca dei fatti così simile, o costituirebbero solo una strategica riproposizione a distanza di tempo, della stessa? Le domande sono spazi aperti di confronto, e si moltiplicano anziché quietarsi. Come ogni leggenda, e forse solo questo conta, andrebbe accettata nel nostro tempo come un sapiente miscuglio di immaginazione e realtà, un soggettivo imporsi di situazioni ormai andate, ma in grado ancora di calamitare la nostra attenzione tramite una dimensione duale: l’informazione che chiede il coraggio della trasmissione, e la fantasia che appaga il nostro bisogno di meraviglia, irresistibile e travolgente.       

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