Un’artista degli anni ’50 che sfida le convenzioni sociali e muore tragicamente e in circostanze oscure a soli 39 anni, questa è la vita di Ana Mendieta. La sua fu un’infanzia tumultuosa.  Nata all’Avana si trasferì negli Stati Uniti a causa delle tensioni politiche, nell’ambito dell’Operazione Pedro Pan, un programma che evacuò migliaia di bambini cubani. Inizia per lei e la sorella un pellegrinaggio tra centri di raccolta profughi, istituti religiosi e famiglie affidatarie. Questo esilio forzato plasmò la sua personalità, portandola a interrogarsi sul concetto di appartenenza e radicamento. Frequentando l’Università dell’Iowa, dove si laureò in pittura e poi in Intermedia Art, sviluppando il suo stile unico e visionario che ha ridefinito il rapporto tra corpo, natura e identità culturale attraverso performance, video, scultura e fotografia. Lei utilizza il corpo come un mezzo per esprimere emozioni e significati concentrandosi sul ruolo delle donne nella società e nel mondo naturale. È nota per la sua serie Silueta, iniziata negli anni ’70, opere in cui creava contorni del proprio corpo in paesaggi naturali, usando materiali come fango, fiori, cenere e sangue. Queste silhouette spesso effimere, erano destinate a dissolversi nel paesaggio, simboleggiando l’interconnessione tra il corpo umano e il ciclo vitale della natura ma anche l’assenza, il desiderio di radici e una connessione spirituale con la natura. Spesso legava queste opere ai rituali afro-cubani della Santeria, sottolineando il suo legame con le tradizioni della sua terra natale. Mendieta ha dichiarato che queste opere rappresentavano un tentativo di “tornare alla fonte” e di recuperare una connessione ancestrale con la terra, che percepiva come perduta nella modernità. Silueta in Iowa (1978) erano delle sagome corporee scolpite nel terreno e riempite di materiali naturali, mentre Body Tracks  erano tracce di sangue lasciate scorrere lungo una parete, evocanti il sacrificio e il trauma. Il sangue sarà ricorrente nella sua arte a simboleggiare il dolore dell’esilio e la stretta connessione con la vita e la morte, un materiale simbolico, che evoca temi di sacrificio, nascita e rinascita. Questo elemento, insieme al legame con la terra, sottolineava il potere trasformativo del corpo femminile, celebrandone la forza e la vulnerabilità. Il corpo umano non è solo una presenza fisica, ma un veicolo per connetterci profondamente con il mondo che ci circonda. La sua vita si concluse tragicamente quando cadde dal 34° piano del suo appartamento a New York interrompendo prematuramente una carriera artistica che aveva già lasciato un segno indelebile che ha trovato nella terra e nel corpo umano gli strumenti per raccontare il proprio viaggio interiore e culturale che l’ha resa immortale.

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Ana Medienta (1948-1985)
Ana Medienta, Body Tracks, 1982
Ana Medienta, Untitled (from the Silueta series), 1973-1977