Il male del secolo, anzi, il male dei secoli non sembra destinato ad arrestarsi. Secondo il rapporto “I numeri del cancro 2023”, che l’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) ha pubblicato insieme ad alcune altre associazioni, i casi di tumore sono in aumento, ma i tumori sono generalmente più curabili. Questo accade perché risulta migliorata l’efficacia sia degli strumenti di prevenzione sia delle cure dei tumori stessi. Uno degli effetti collaterali molto comuni della cura chemioterapica contro questa patologia è l’alopecia e il suo impatto psicologico è considerevole, soprattutto per le pazienti donne. Benché l’approccio più diffuso tra le malate sia quello di tentare di contenerla utilizzando foulard o parrucche per coprire il capo, non è possibile celare lo stress e il peggioramento della qualità di vita che la perdita dei capelli implica. Quello che non tutti sanno è che esiste un modo per ridurre questo fenomeno e alcuni ospedali italiani lo stanno già adoperando.

Per risalire all’invenzione dei caschi refrigeranti dobbiamo tornare indietro agli anni ’50 del secolo scorso, quando in Inghilterra Glenn Paxman utilizzò le sue conoscenze nell’ambito dei sistemi di raffreddamento per creare uno strumento che fosse utile alla moglie malata. Nel 1997 venne prodotto il primo prototipo ufficiale, che è stato successivamente esportato in altri paesi e installato in vari ospedali. Il suo funzionamento consiste principalmente nel favorire l’abbassamento della temperatura del cuoio capelluto del paziente durante alcuni tipi di trattamento antitumorale. In questo modo i farmaci non raggiungono la radice e i capelli soffrono meno i danni collaterali. Il Journal of the American Medical Association ha accolto recentemente due pubblicazioni sul tema ed entrambe confermano risposte buone da parte delle pazienti donne che si sono sottoposte al trattamento rispetto a coloro che non hanno utilizzato il casco, nonostante il successo sia variabile e dipenda da una serie di fattori. Secondo quanto riporta l’Associazione Italiana per la ricerca sul cancro (AIRC) oggi sono circa 15 i reparti oncologici della penisola che mettono questi macchinari a disposizione dei malati. Per poterne consentire l’utilizzo si necessita di personale addetto che assista i pazienti e assicuri il corretto posizionamento del casco prima, durante e anche fino a due ore dopo la fine della seduta di terapia.

Nonostante le ricerche a livello mondiale confermino l’affidabilità dei caschi che inducono e mantengono correttamente l’ipotermia, per quanto l’Italia essi non sono al momento forniti dal Servizio sanitario nazionale e devono essere acquistati autonomamente. Associazioni benefiche e altri enti si sono già mossi in alcune regioni per le prime installazioni o per l’incremento delle possibilità di accesso a queste risorse, ma molto ancora potrebbe essere fatto in direzione dell’umanizzazione dell’assistenza oncologica.

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