Stephane Allix conduce una inchiesta sulla morte, raccogliendo testimonianze e informazioni utili a costruire una solida ipotesi sulla concreta possibilità di un oltre. Interviste, letture, ricerche che diventeranno un caso editoriale da due milioni di copie vendute.
E se la fine non fosse la fine? Il reportage giornalistico di Stephane Allix suggerisce esattamente questo, pur mantenendo una visione razionale dell’esistenza e rigore negli studi intorno al fenomeno del trapasso. La logica del libro è quella di accostare casi simili, processi affini e personalità autorevoli in materia, come la terapeuta energetica Agnes Oullet, segnata dalla perdita prematura della figlia, in grado di analizzare con estrema lucidità i concetti di “terapeuti della luce”, quegli esseri specializzati nel guarire la gente nell’altra dimensione, e poi cura, guarigione e suicidio. Quest’ultimo in particolare, lontano dall’essere condannato, è visto come una perdita di tempo, una circostanza che costringerebbe l’anima a riaprire la partita sospesa e ricominciare qualcosa di interrotto. Indubbio protagonista del libro è il rapporto dell’uomo con la morte, una relazione che di certo si modifica negli anni, influenzata dagli eventi dell’esistenza, dai lutti sofferti, dalle percezioni individuali. Il reportage somiglia a tratti a un romanzo, quando si addentra nella vita dei suoi protagonisti, nel groviglio indisciplinato delle sofferenze inconsolabili per farsi via via certezza, dopo contatti inattesi, sentire improvvisi, inequivocabili segni, dell’esistenza di un “dopo”. Quel dopo del titolo era dunque una porta d’ingresso, la possibilità di sbirciare oltre un invalicabile muro, ciò che potrebbe ancora essere. Ma è un lessico che edifica ponti dalla parte umana, poiché temporale, un “dopo” che ipotizza pietosi prosecuzioni più che rigide interruzioni. Quel titolo, ci avvediamo leggendo, è la negazione della parola “Fine” che sempre accostiamo alla morte.
Come ogni reportage questo lavoro registra dati, avvenimenti, li interpreta. Un filo conduttore è il “presentimento” di morte che molti personaggi vivono, come se la morte ci visitasse già prima del suo arrivo, sempre, dandoci così il tempo di mettere al posto le cose, risolvere le questioni in sospeso, definire i legami con chi resta. Altro motivo presente in più storie è la possibilità di un contatto tra anime anche dopo il decesso fisico di una delle due, e le nuove modalità d’incontro, sempre connesse alle esperienze condivise precedenti, e dotate, per le persone coinvolte, di profondo senso. Spesso proprio il sogno, in questi racconti, è descritto come il luogo privilegiato di ricongiungimento, al di là dell’impossibilità fisica.
Stephane Allix, Dopo.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.