Secondo la definizione dell’O.N.U., per inquinamento marino si intende: introduzione diretta o indiretta da parte dell’uomo nell’ambiente marino di sostanze o di energie capaci di produrre effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque”. Quando si parla di mare e inquinamento, si definisce il marine litter (rifiuti marini) per indicare qualsiasi materiale solido durevole prodotto dall’uomo ed abbandonato negli oceani.Tra i tanti rifiuti che giornalmente invadono i nostri mari la plastica rappresenta un male che non può essere più ignorato. Ogni anno 8,8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’oceano e il 49% del marine litter è costituito proprio dalla plastica monouso. Si pensa che se si continua con questo ritmo, nel 2050 in mare avremo più plastica che pesci. Infatti, tutta la plastica abbandonata nelle strade, nei fiumi, nei boschi o in qualsiasi altro luogo terrestre, prima o poi concluderà il suo lungo viaggio in mare. Dopo pochi mesi la maggior parte non riuscirà più a galleggiare ma affonderà andando ad alterare i delicati equilibri delle profondità marine. La plastica, trasportata dalle correnti, dal vento e dal moto ondoso, crea delle zone dove si accumula, portando alla formazione di quelle che vengono definite “zuppe o isole di plastica”, (Garbage patch). Nel mondo ve ne sono sei così distribuite: una nel Mar Mediterraneo, due nell’ Oceano Atlantico, due nell’ Oceano Pacifico e una nell’Oceano Indiano. I rifiuti plastici galleggianti, che costituiscono le isole, sono oggetti di vario genere come bottiglie, giocattoli, sacchetti ed elettrodomestici. Sotto l’azione del sole, delle onde e del sale, i frammenti di plastica vanno incontro alla loro degradazione, frammentandosi in particelle di grandezza inferiori ai 5 mm, chiamate microplastiche.  Quest’ultime, rappresentano una minaccia per la salute dei nostri mari e dei suoi abitanti, infatti, sono così piccole da essere invisibili all’occhio umano, e rimangono in sospensione nella colonna d’acqua per tempi lunghissimi. Molti organismi confondono i pezzetti di plastica con il cibo di cui si nutrono facendo sì che entri nella catena alimentare. Inoltre, le particelle ingerite possono provocare danni all’apparato digerente e ridurre lo stimolo della fame, causando malnutrizione e influenzando la crescita, fino all’occlusione dello stomaco e delle vie aeree. Le molecole inquinanti una volta assorbite, possono accumularsi nei tessuti dell’organismo e agendo a livello ormonale alterare l’attività endocrina influenzando lo sviluppo delle gonadi o dei gameti e quindi la riproduzione. Ciò compromette la sopravvivenzadi numerosi organismi  danneggiando tutto l’ecosistema marino.

Anche l’uomo potrebbe indirettamente subire dei rischi per la propria salute attraverso il consumo di pesci, molluschi o crostacei contaminati. Piccoli accorgimenti giornalieri, da parte di tutta la comunità, potrebbero sicuramente aiutare i nostri mari a guarire da questo male. Il primo passo potrebbe essere quello di rispettare sempre la regola delle cinque erre: riduci, rifiuta, ricicla, riusa, rimuovi. Rifiutare l’uso di plastica monouso, acquistare prodotti freschi privi di imballaggi, adoperare borse di tela riutilizzabili e non sacchetti di plastica, usare la borraccia e tante altre piccole abitudini che sono un grande aiuto per gli oceani.

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