“Is this the way to Amarillo? Every night I’ve been hugging my pillow, dreaming dreams of Amarillo and sweet Marie who waits for me …” ( è questa la strada per Amarillo? Passo ogni notte ad abbracciare il mio cuscino, sognando Amarillo e la mia dolce Marie che mi aspetta..) [Brano di Tony Christie].  “Sweet home Alabama, where the skies are so blue, sweet home Alabama, Lord, I’m coming home to you..”(Dolce casa Alabama, dove i cieli sono così blu, dolce casa Alabama, Signore, sto tornando a casa da te) [ Brano della band Lynyrd Skynyrd]. Tutti noi probabilmente cerchiamo la nostra Amarillo o la nostra Alabama dove andare o tornare, luoghi che identifichiamo come “casa” o come luogo in cui proiettare i nostri sogni: il luogo perfetto, dove trovare la propria dimensione e la propria realizzazione personale e/o professionale. La ricerca però non è sempre così facile o soddisfacente, visto che la perfezione non esiste! Ed è in quel momento che realizziamo che il nostro luogo preferito potrebbe trasformarsi nell’isola che non c’è. È interessante notare come già nel 1500 Thomas More, scrittore umanista e politico inglese, raccontasse nel suo romanzo “Utopia” di un’isola perfetta, dove vigeva una forma di governo perfetto e che guarda caso portava il nome di Utopia. Si tratta di un termine di origine greca che significa “non – luogo, da nessuna parte”, e quasi ironicamente More attribuiva questo nome all’isola perfetta, denominandola appunto “da nessuna parte”. Nello specifico, attraverso un dialogo tra se stesso personaggio e il viaggiatore Hythlodaeus, racconta di questo Stato fondato su pilastri comunisti, di ispirazione platonica (“La Repubblica”). Questa società si basa dunque sull’abolizione della proprietà privata e la condivisione del bene comune, tramite una partecipazione attiva di ogni singolo abitante alla produzione, entro e non oltre certi limiti, in modo da evitare la presenza di nullafacenti, lo sfruttamento tra chi lavora e la produzione di un surplus che porterebbe ad una distribuzione diseguale del bene comune …. un’utopia infatti! Il termine è così entrato nel lessico comune con questa nuova accezione di paternità mooriana: dicesi “utopia” qualcosa che è considerata irrealizzabile in quanto troppo bella per essere vera. L’utopia è quindi una realtà inesistente verso la quale dobbiamo comunque tendere, poiché vero è che non siamo perfetti, ma è vero pure che siamo perfettibili. Per questo non bisogna mai mollare e mirare sempre in alto, che si tratti di una perfezione politica, sociale, professionale, estetica, ognuno secondo i propri desideri, accettando in ogni caso la nostra natura umana finita. Dal significato odierno di “utopia” è poi nato il suo contrario ovvero “distopia” (John Stuart Mill lo avrebbe utilizzato in un discorso parlamentare nel 1868 per indicare il contrario dell’utopia), una realtà anch’essa inesistente ma stavolta perché troppo brutta, terribile; ne segue che, mentre bisogna tendere all’utopia per migliorarsi, è bene scappare dalla distopia per evitare una degenerazione della specie. Esempi di distopia sono magistralmente rappresentati dalle opere “1984” di G. Orwell e “The New World” di A. Huxley.

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