Gioele Pio Fragale è un consulente filosofico e project manager con laurea magistrale in Scienze filosofiche e master in Consulenza filosofica. Esperto in progettazione educativa per disabili e revisione di testi scientifici, ha collaborato con Anffas e l’Unione Italiana Ciechi. Possiede competenze nel marketing digitale e ha gestito campagne pubblicitarie sui social media. Autore di diverse pubblicazioni, tra cui “Libro presente. Lettura di Esopo per una dialettica della sospensione dell’incredulità”.

Spesso ci interroghiamo sul significato profondo del desiderio nella nostra epoca, su come si sviluppa, si manifesta e si trasforma. Un tempo, l’arte ci offriva spunti di riflessione: “La donna alla finestra” di Salvador Dalí, con la prospettiva dell’osservatore che a sua volta viene osservato, incarnava la dualità del desiderio di conoscere e di essere conosciuti. Il “Don Chisciotte” di Cervantes, con le sue molteplici prospettive sulla realtà, ci mostrava come il desiderio possa deformare la percezione del mondo, nel bene e nel male. Oggi, anche episodi di cronaca – come l’esperimento di una ragazzina che ha perso la vita trattenendo il respiro per un consenso popolare sempre più massificato, o le sfide estreme che spopolano sui social media – ci parlano del rapporto tra desiderio e rischio, tra brama di sensazioni forti e pericolo di autodistruzione, alimentata da “follower, tutti folli ovviamente”, come direbbe Mario Guarnera.

Il desiderio è la capacità di collocarsi tra realtà e aspirazione, superando l’ipocrisia e le convenzioni sociali. Ma è solo questo? È la spinta a superare i limiti, a cercare l’ignoto, a raggiungere ciò che sembra irraggiungibile. La parola stessa, “desiderio”, indica qualcosa di lontano, di assente, di essenziale, forse di impossibile. In “Così parlò Zarathustra”, Nietzsche parla di insegnamenti deformati da chi si allontana, che nel tempo si trasformano fino a diventare incapacità di essere umani autentici, pur desiderando di cambiare la realtà. Il filosofo ci invita a riflettere sul rischio di perdere noi stessi nella ricerca di un desiderio illusorio, dove il “noi” assume senso ma perde di sensualità.

La retorica del desiderio alimenta progetti e ideologie che esaltano l’essere umano, ma lo costringono anche a una condizione di utilità, dove il corpo e la mente diventano strumenti per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi, se non addirittura tracotanti. Aristotele, nel libro α della “Fisica”, parla della natura con una semplicità scientifica disarmante: perché cercare una causa della vita nella domanda “perché?” se poi il “come?” soddisfa il desiderio più grande, conoscere? Galimberti, nell’ “Etica del viandante”, riprende questa idea per identificare ciò che l’ombra del viandante cerca di vedere: la riproduzione del demone platonico di Nietzsche, dove la felicità è la realizzazione del proprio demone, del desiderio più profondo. Ma questa realizzazione può avvenire solo attraverso un percorso di conoscenza di sé e del mondo, un viaggio interiore che ci porta a confrontarci con le nostre ombre e i nostri limiti, a volte scavalcando i miti che ci limitano. Servirebbe a questo punto un dialogo per approfondire il senso del desiderio nella nostra epoca, di come cambia i nostri modi di essere, influenzati dall’intelligenza artificiale, dalla tecnologia, dalla cultura di massa. Siamo bombardati da immagini e messaggi che alimentano i nostri desideri, ma spesso ci sentiamo incapaci di comprendere appieno ciò che desideriamo veramente. Un dialogo tra l’autenticità e le sue definizioni, e il desiderio, un luogo inesplorato a volte. Solo così potremo dare un senso al nostro desiderio e trovare la nostra strada verso un’autentica felicità.

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Greta Gattuso, Dentro un salice, 2012

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