Cosa sono i “non luoghi”? Con questo neologismo si circoscrive un doppio spazio: fisico ed emotivo. Fisicamente i nonluoghi sono quegli spazi architettonici reali dedicati alla vita quotidiana come locali, autostrade, stazioni, mezzi di trasporto, hotel o ascensori. Emotivamente sono luoghi, spesso di transito, dove la gente, intenta nelle azioni quotidiane, s’incrocia generalmente senza entrare in relazione. Il tempo è tutto al presente e vive nell’attimo in cui questo nonluogo ci fa entrare in relazione con la provvisorietà del momento in cui lo transitiamo. Sono spazi in cui passiamo velocemente senza mai abitarli. Spazi pensati a misura d’uomo che non necessitano di una propria identità, spesso meramente funzionali. Sono luoghi ubiqui che influenzano indirettamente la nostra esperienza quotidiana di spazio, tempo e relazioni umane. Alienazione, frenesia, anonimato qui sono spesso evidenti ma non tutti li vedono. Alcuni artisti hanno interpretato e circoscritto nei loro lavori questo spazio mostrandolo allo spettatore con valenze diverse e multi sfaccettate. I quadri di Edward Hopper, celebre pittore americano del XX secolo conosciuto per le sue rappresentazioni di ambienti urbani spogli e solitari, spesso evocano una sensazione di anonimato e isolamento. Ritrae la vita quotidiana come distributori di benzina, interni di case, mezzi di trasporto, strade solitarie. Nell’opera Nigthawks del 1942 rappresenta un luogo anonimo di vita quotidiana, un locale con alcuni avventori, dove traspare un senso di solitudine e incomunicabilità fra i personaggi che sembrano ignorarsi. Il pittore crea una distanza tra spettatore e scena rappresentata, lascia una sensazione di sospensione del tempo in cui immaginare una storia, in uno spazio reale ma immobile, abitato da persone senza volto in spazi vuoti e silenziosi. L’artista britannica Rachel Whiteread è nota per le sue sculture di spazi negativi, come quelli che rappresentano l’interno di una stanza o la forma di una casa vuota. La sua arte ha lo scopo di rappresentare l’incomunicabilità, specialmente in ambito domestico, che dovrebbe paradossalmente aiutarci a combattere la solitudine. Come rappresentare questo vuoto psicologico e fisico? Crea dei calchi di oggetti di vita quotidiana come vasche, materassi o intere stanze con cui non rappresenta l’oggetto in quanto tale ma il “vuoto” intorno. Quindi è la rappresentazione dello spazio la sua finalità e invertendo il vuoto (dello spazio) in pieno e trasformando il negativo in positivo, l’artista cattura tracce di vita perduta in quegli oggetti che occupavano quello spazio dove l’uomo è ormai assente. Non rappresenta il vuoto ma la “traccia” che lascia il vuoto. Gregory Crewdson è un fotografo statunitense contemporaneo famoso per le sue immagini cinematiche di paesaggi suburbani e piccole città americane. Le sue fotografie sono spesso descritte come scene sospese nel tempo, in cui le persone sembrano estranee ai loro stessi ambienti. Crea così un senso di alienazione e mistero in queste scene immerse in luoghi senza identità studiati nei minimi dettagli.

Edward, Hopper Nighthawk, 1942
Edward Hopper, Gas, 1940
Rachel Whiteread, House, 1993
Rachel Whiteread, Untitled (Mattress), 1991
Gregory Crewdson, Dream House, 2002
Gregory Crewdson, The Basement, 2014

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