La Storia approda al grande schermo, e non è una novità che personaggi, trame, ambientazioni d’epoca siano protagonisti del cinema italiano. Ma questa volta i due film in questione hanno veramente molto in comune, in primis l’omaggio ai grandi temi d’altri tempi, che appaiono dalla narrazione contemporaneamente trascorsi e pronti a riemergere con allarmante gravità ai nostri giorni. Due attori di successo, una donna e un uomo, due signori della risata, utilizzano il registro comico per raccontare realtà tragiche, senza superficialità, con la giusta leggerezza in grado di catturare senza sforzo l’attenzione. Si tratta di Paola Cortellesi e di Claudio Bisio che raccontano rispettivamente la condizione femminile nel secondo dopoguerra e il dramma della Shoà con le loro opere prime da registi. Passare dall’altro lato della macchina da presa rimanendo allo stesso tempo attori dei loro drammi è un altro aspetto in comune che noto, e poi il finale strappa lacrima che con emozionalità incontrollata rovescia il tono pacato, leggero e divertente dell’intero film e lo rende d’un tratto grande lezione della Storia, danzatore in grado di piroettare attraverso la trama e maschera tragica nel destino dei personaggi. Così mentre affondato nella poltrona rossa sei immerso in quel silenzio religioso della sala, con in testa ancora un coro da stadio per i personaggi protagonisti (donne o bambini che siano), e la risata stampata in bella mostra, d’improvviso senti una tensione nervosa, un disagio di essere lì ad assistere impotente all’accelerazione degli eventi, testimone passivo di un cambiamento di clima, e allora ancora con quel mezzo sorrisetto che sempre meno risponde ai comandi della volontà e si cristallizza in volto perdendo luce e colore ti rendi conto che i tuoi occhi già piangono e inevitabilmente ti accorgi guardandoti intorno succede lo stesso ai tuoi vicini, che nel buio erano trasparenti, ma ora con le prime luci riemergono tutti come statue di sale in preda a contrastanti emozioni che il loro volto si rifiuta di esprimere, e sono il tuo specchio a pensarci, ed è buffo, pensi mentre scorrono i titoli di coda, perché fino a pochi minuti prima era il grande schermo il tuo specchio. Buffo che basti guardare un film per sentirsi di nuovo tutti uguali.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.