È l’alba e il lavoro è iniziato nelle viscere della grande struttura. Bisogna governare il fuoco nei forni. Da quel ventre oscuro il calore sale in superficie lungo i pavimenti delle terme. Un frenetico e costante via vai di schiavi, il popolo di quei sotterranei, anima i locali bollenti. La pelle umida e lucida per il sudore, le spalle forti di chi è avvezzo a portare pesi che affliggono corpo e anima. Dai forni la fiamma illumina con un guizzo gli occhi neri di Lidio mentre il ragazzo si volta rispondendo a un ordine con accento strano. Lidio arriva da lontano, era un uomo libero nella sua terra, ha conosciuto la violenza della guerra, le armi e la frusta, come testimonia quella lunga cicatrice che gli attraversa la schiena in diagonale, accompagnata da segni più piccoli. Lidio affretta il passo perdendo per un istante l’equilibrio sotto il peso che porta in spalla ma è agile e si riprende subito, svolta l’angolo dal quale proviene quella voce aspra che lo chiama di nuovo, intimandogli di fare in fretta. In superficie, tra i marmi, quella frenesia non si percepisce. I raggi del sole giocano lungo il colonnato, si infilano tra le pieghe delle vesti di statue imponenti, disegnando motivi che gareggiano con quelli brillanti dei mosaici. L’aria è appena tiepida, tra poco quel microcosmo si animerà, per il momento è ancora avvolto in un silenzio irreale. Qualcuno, nuotando lentamente, increspa l’acqua della piscina esterna creando piccoli diamanti di luce. L’uomo si accosta al bordo di marmo, vi si appoggia e rimane immobile con lo sguardo fisso su un punto oltre il colonnato, laggiù dove si stanno inseguendo i suoi pensieri inquieti. Chiude gli occhi e si lascia scivolare giù, rimanendo immerso nell’acqua fin sotto il naso, gli occhi ancora chiusi e la fronte aggrottata. Come un alligatore che abbia fiutato la preda all’improvviso apre gli occhi, esce dalla piscina con un’agilità che non gli avremmo attribuito e lì, nudo e ritto in piedi, fa cenno a qualcuno con un rapido gesto della mano. Si avvicina un ragazzo porgendo un telo nel quale l’anziano si avvolge velocemente. Ora un sorriso illumina quel volto solcato da rughe regalate dagli anni e dall’esperienza. Sembra aver trovato la soluzione a qualcosa che da tanto tempo, troppo, è rimasto lì a schiacciargli l’anima. Si allontana. L’acqua ha lavato via ogni incertezza cullando corpo e mente, regalando nuovo vigore a entrambi. Una risata giovane e fragorosa rompe il silenzio. Due ragazzi attraversano il giardino diretti al calidarium dove i vapori avvolgono corpi e pensieri, voci e silenzi. Accanto a quella vasca è in corso una conversazione animata sul punto di trascendere. Le voci si tacciono al sopraggiungere dei due giovani. Con un’occhiate di intesa il gruppo si scioglie, non la tensione però che continua a vibrare sospesa a pelo d’acqua. Il sole ormai è alto su Roma, il popolo delle terme ha iniziato a tessere la trama di quel vario tessuto sociale fatto di uomini e donne, siano essi ricchi o meno, di liberi e schiavi, di doveri e piaceri, di incontri e di scontri. L’acqua regala forza alla psiche mentre accoglie corpi e intenzioni. Angoli appartati nascondono sussurri che orecchie scaltre coglieranno. Gli occhi e le orecchie delle terme sono sempre lì, vigili, mentre lentamente i raggi del sole tornano a farsi obliqui per accompagnare il sipario che si chiude su questa città nella città. Una sagoma scura, quella dello schiavo Lidio, appare per un attimo oltre il colonnato, tra i vapori, per farsi poi inghiottire dalle ombre della sera e dal buio di quei sotterranei dove l’alba non arriverà mai.
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Mi chiamo Barbara, diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Perugia, sono da sempre appassionata di Arte e Antiquariato. Amo associare l’idea di viaggio a quella di immersione nell’arte, ritenendo il mondo un prezioso scrigno colmo di tesori. La scrittura di racconti e la compagnia dei libri sono la mia vita ed è a loro che mi dedico con passione perché, citando Umberto Eco, “chi legge avrà vissuto 5000 anni, c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.