Agnese Marani riceve una lettera: regolarmente depositata da un notaio a lei caro, attende solo di essere aperta e di rivelarle qualcosa di molto importante, a un anno dalla morte della sua autrice: l’amata zia Livia. L’attesa di questo singolare messaggio dal passato e dai suoi fantasmi genera in lei attese, paure e speranze che la porteranno a un graduale ma irreversibile cambiamento nei suoi modi di guardare la vita, il futuro, l’amore.
I libri, lo diceva Jean Paul Sartre, sono specchi. A volte però lo sono anche i personaggi che, tutti insieme, come tessere di un puzzle, ricompongono l’interiorità di uno scrittore e molto spesso, quando la lettura è catartica e profonda, anche di chi legge. Questo accade, esattamente questo, rispecchiandosi nella terza fatica letteraria di Ninfa Leotta: un’acquisizione graduale di sé, a partire da quell’incedere silente, e via via sempre più imponente e fragoroso della lettera nella trama, che ha un passo lento ma in pochi capitoli modifica l’intera storia. È un altro personaggio, la lettera, un protagonista assoluto della vicenda che ha ideale ambientazione a Belsito, immaginario luogo della nostalgia della protagonista Agnese Marani. È proprio questa “isola che non c’è”, di straordinaria bellezza, il ritrovo emotivo di pensieri, rimpianti e ricordi, in quanto diventa il simbolo stesso del passato, con le sue provvisorie ambrosie, i suoi inconsapevoli veleni. Così il lettore, immerso in una prosa composta, placida ma stimolante, in grado di cullarlo e pungolarlo verso la ricerca della verità, si troverà a vivere tutto ciò: doni, rimpianti e domande mai risolte, e ogni altro genere di elargizioni tipiche della generosa dimensione temporale del passato. È infatti tra il piano dei ricordi, inteso nella sua etimologia latina Re-cor “riportare nel cuore”, e quello di un futuro incerto, tutto da costruire con la forza della determinazione, che il romanzo oscilla, capitolo dopo capitolo, al passo altalenante della protagonista e del suo pensiero. Quali trasformazioni vivrà Agnese, nella ricerca della sua verità? E quali noi, lettori, accompagnandola in questo travagliato percorso e indossando i suoi dubbi, nella speculare, introspettiva ricerca della nostra? Ci rendiamo così conto che oltre l’intenzione dell’autore, oltre il piano narrativo, al di là dell’intreccio dei bei racconti inscenati, esiste un piano trasformativo nella lettura che lascia dall’ultima pagina in poi, proprio come fa l’onda coi relitti del mare sulla spiaggia, disseminate nel cuore del lettore, piccole perle di tesori imprevisti.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.