L’artificio in arte è sempre stato attraente, talvolta necessario o stupefacente. Ingannare lo spettatore per sorprenderlo o confonderlo? Parliamo del trompe l’oeil letteralmente “inganna l’occhio” con le sue finte aperture prospettiche, già presenti nella pittura decorativa d’ambiente dei finti giardini, greci e cretesi, poi evoluta nel Rinascimento con le finte architetture, dove i soffitti erano aperti su cieli blu magari popolati da orde di santi, angeli e dannati. Lo spazio si moltiplica e si dilata così tanto da non avere più un solo punto di vista e lo sguardo si perde cercando di afferrare le figure che lo popolano. Nel Settecento le finte cupole di Andrea del Pozzo famoso per i suoi grandi dipinti, su tela o tavola, con un sapiente gioco prospettico di concavità, convessità e chiaroscuri imitavano cupole reali impossibili da costruire. Appare divertente e irriverente la pittura di Arcimboldi che ci permette di scegliere cosa vedere nelle sue teste composite. Sarà una composizione di natura morta, un accumulo di oggetti o il viso magari di un personaggio noto al tempo? La resa pittorica della frutta, degli ortaggi e degli oggetti è concretamente realistica e virtuosa ma se spostiamo il punto di vista ruotando l’immagine, una pera diventa il naso o il cesto di vimini un copricapo di un volto bizzarro ma riconoscibile. Nel Cinquecento per studiare il corpo umano si ricorreva agli “spellati” cadaveri che venivano dissezionati e trattati per evitarne il deterioramento e studiarne l’anatomia. Nel Seicento invece per evitare lo scempio nell’uso dei veri cadaveri, ritenuto in buona parte d’Europa sacrilego e proibito, si diffonde l’uso della ceroplastica. La tecnica di modellazione prevedeva l’uso della cera colorata per creare modelli anatomici di grande realisticità. Gaetano Zumbo è probabilmente il ceroplasta più noto del XVII secolo. Tra i suoi capolavori c’è la modellazione di una testa maschile talmente accurata da sembrare vera, tanto da diventare per tutto il secolo un riferimento assoluto per lo studio della testa e del cervello umano. Le opere iperealistiche degli anni ottanta di Duane Hanson rappresentano gente comune e raccontano la rassegnazione, il vuoto e la solitudine dei ceti medio-bassi americani, con delle “sculture viventi”, calchi a grandezza naturale dalle pose naturalistiche e un effetto realistico disarmante. Gli atteggiamenti dei personaggi devono essere naturali, per questo sceglie pose statiche per riflettere le loro tipiche attività, tanto che le figure assumono un’aria un po’ sognante, che permette all’artista di catturare la loro mestizia esistenziale e la loro malinconia del vivere ordinario con crudo realismo.
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Sono Carmen, classe ’78, e dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania e la specializzazione in grafica inizio un percorso di poliedriche esperienze: mostre d’arte, insegnamento, architettura, design e pubblicità. Con le altre socie, dal 2014, sono cofondatrice dell’Associazione Culturale “Le Ciliegie” dove rivesto l’incarico di copywriter e mi occupo di grafica 3D.