Tecnologia e digitale entrano di prepotenza nei progetti ingegneristici e nell’Arte, questo mi viene in mente osservando il programma della nuova mostra Technoscape al Maxxi di Roma, dal 1 ottobre 2022 al 10 aprile 2023. La mostra racconterà, pare, l’evoluzione culturale che ha permesso alle diverse ricerche di interfacciarsi, ma il linguaggio digitale trova in questo racconto una posizione privilegiata. Nel ripromettermi di visitarla appena possibile, mi sorge prepotente una domanda: quando esattamente la cultura digitale è diventata indispensabile nell’elaborazione e rappresentazione di ogni altro sapere? È un carattere del nostro tempo, o piuttosto un successo dell’informatica, che ha preso forza fino a diventare necessaria nei diversi settori? Abbiamo iniziato a definire i nostri figli Nativi digitali, quando in realtà, senza rendercene conto, lo siamo anche noi quarantenni, una generazione che è cresciuta con l’evoluzione digitale passando dal telefono fisso all’I Phone, dal libro al portatile, attraverso altri significativi passaggi. Mark Prensky, scrittore statunitense indica il 1985 come l’anno della svolta, e per questo definisce i nuovi nati a partire da quella data “millenials”: è infatti questo l’anno della diffusione del personal computer che lentamente ma inesorabilmente modificherà l’aspetto della società ma anche la forma mentis di chi ne fruisce. E di questo oggi discutono principalmente gli psicologi: che impatto può avere sulla mente umana, in crescente trasformazione, l’utilizzo quotidiano delle tecnologie digitali? La simbiosi con le nuove tecnologie dei nativi consente di padroneggiare gli strumenti in un circuito solo virtuoso, o possono derivare conseguenze non felici sulle competenze che saranno in grado di acquisire? L’approccio frenetico e multitasking che la rete pretende è sempre quello migliore? O forse nella vita occorre a volte rallentare e selezionare gli aspetti importanti della realtà utilizzando i criteri della lentezza di giudizio, dell’approfondimento critico di quanto accade? Virtualità e realtà sembrano aver inoltre sfumato i loro confini. Quanto questo può essere vantaggioso e quanto penalizzante per le nuove generazioni? Gli educatori, il mondo accademico e della Scuola, si interrogano costantemente sulla questione, cercando una sana linea di confine che consenta di includere il digitale nella quotidianità, lasciandone però fuori alcuni aspetti. È una linea flessibile, e sempre in movimento, che vale la pena di tracciare, fissare e spostare costantemente: questa la nuova sfida.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.