Monkeypox: pochissimi i casi, ed è già allarme sociale. Sembra che l’esperienza di un virus non preso molto sul serio sulle prime sia stata in grado di attivare i nostri recettori della paura. Come sentinelle di un castello la nostra sanità ha lanciato l’allarme, e i media la notizia. Così qualcuno ha spremuto le poche informazioni, dando risonanza a un evento che solo tre anni fa non avrebbe avuto, stando così le cose, spazio forse su nessuna grossa testata giornalistica. E poi ha servito la notizia. Anche se non c’è alcun motivo di allarmarsi, questo il più frequente, ripetuto messaggio d’accompagnamento alle informazioni, tutti ormai ne siamo al corrente. Il pericolo viene dal vaiolo, e da quella famiglia di primati a cui ci sentiamo particolarmente vicini. Alcune decine di casi sono state segnalate in Europa, Italia inclusa. La patologia è endemica in Benin, Camerun, Repubblica Centro Africana, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Gana (solo casi in animali), Costa d’Avorio, Liberia, Nigeria, Repubblica del Congo, Sierra Leone, e Sud Sudan. Il virus non si trasmette facilmente da persona a persona, pare che però i rapporti intimi possano agevolare la circostanza, ma tutto sommato la conoscenza esatta delle modalità di trasmissione sfugge ancora ai ricercatori. E questo non ci tranquillizza. Abbiamo imparato a pendere dalle loro labbra. A constatare che nella nostra epoca i circuiti del giornalismo sono più veloci di quelli della ricerca, anche quando questa è veloce. Abbiamo notato quanto sia labile il confine oggi tra scienza e spettacolo, giornalismo e scienza, e come facilmente si siano oltrepassati i limiti con caricature di epidemiologi intervistati nei talk show (che forse avendoci preso gusto non avrebbero mai rinunciato a un’altra manciata di popolarità, dunque ben venga un altro “virus vagante”) e avventati operatori dell’informazione più interessati allo scoop che alla verità. Poi il popolo del contro, più attento a negare che edificare, “No vaccino”, “No green Pass”, “No dittatura sanitaria” appresa la notizia inizia ad armarsi per la nuova guerra, perché tutto ciò che succederà potrebbe essere presa per la triste conferma di certe singole geniali intuizioni…e perché il soldato è fatto per la guerra, non importa il suo scopo. Che dire? Certi teatrini si ripropongono, e noi, tra un’epidemia non ancora conclusa ma sempre meno interessante da raccontare, e un nuovo rischio poco concreto ma indubbiamente tutto da sviscerare e apprendere golosamente, stiamo qui a guardare le stanche dinamiche della società, le rare pause, gli immeritati applausi.
Foto di copertina di Carmen Battaglia
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.