Non si è ancora concluso il capitolo nefasto del virus in circolazione tra Oriente e Occidente, e già si apre sotto i piedi dell’umanità il baratro della guerra: molti ci sono già scivolati dentro, e noi stiamo lì a guardare, con la tecnologia che oggi lo consente, e lasciatemi dire, un po’ anche a tremare, per il timore giustificato che questa crepa avanzi fino a squadernare ogni equilibrio esistente, a Sud e Nord, Est e Ovest. La cronaca è più chiaramente Storia, questa volta ignorando le giuste distanze temporali necessarie alla sua maturazione dall’una all’altra: è invece già del tutto quella Storia che spiegheremo alle generazioni future, quella Storia che somiglia a quanto abbiamo appreso dai manuali sui banchi di scuola, e non solo. La crepa si allarga, e trascina ogni sicurezza. Non stiamo più dentro il limite al caldo, nella comodità delle nostre case. Cioè, ci siamo ancora, certo, ma quelle immagini al Tg, di abitazioni fuori uso, e masse di profughi, ospedali bombardati e diplomazia in atto, hanno il potere di sbalzarci in qualche modo fuori, e spaccare una scorza simbolica e farci intravedere quello che potrebbe essere un futuro dilagante anche per noi. Il luogo più confortevole del mondo, durante la quarantena, si era fatto via via un fardello pesante: siamo stati pochi mesi assetati di viaggi e già la casa diventa, di nuovo, la struttura preziosa della nostra quotidianità, il guscio sacro che ci rende più forti. Il mondo è un posto sempre meno sicuro. L’isolamento, la chiusura in sé, e la relazione limitata ai pochi affetti domestici stanno diventando sempre più le tendenze necessarie dei nostri tempi: non ci tocchiamo più, forse neanche sfioriamo, e cresce la distanza tra una prossimità necessaria con gli affetti vicini, e l’altrettanto dovuta cautela con “gli altri”. Erano già il nemico, portatore di virus, quelli che non conoscevamo, per strada, quelli da cui stare lontani, almeno un metro, sempre: e ora il nostro senso “del diverso” cresce, si radica, perché soprattutto questo una guerra sa fare, separare e allontanare, dire “noi” e “loro”. Come andrà a finire, anche questa disavventura storica, non lo sappiamo ancora, di certo però sappiamo che l’umanità è in picchiata, il viaggio, quello spirituale, procede ai livelli più bassi. Saremo in grado di dare il peggio di noi, o si è già toccato il fondo? A chi gridava dai balconi “Andrà tutto bene”, cantando l’inno nazionale e disprezzando lo smart working, a chi urlava al complotto del governo, della sanità, e si proclamava No Vax in un mondo in cui era invece necessario collaborare, vorrei dire che no, niente è andato bene per nessuno, perché chi è andato ha nutrito speranza a vuoto, chi è rimasto assiste alla caduta nell’anacronismo di una guerra che potrebbe essere l’ultima della Storia. E così non ci resta, come in ogni epoca di crisi, che ripiegare sugli affetti privati e cercare nelle pieghe dell’esistenza quel pizzico di sollievo che la nostra Storia, oggi, non è in grado di offrirci.
Foto copertina di Valentina Giuffrida
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.