In un paesino non ben identificato, la morte smette di fare il proprio dovere: è una vittoria dell’umanità, celebrata da marce, inni, e retorica che però somiglia alla sconfitta. Non si vive e non si muore. Si attende. Sette mesi dopo, la morte, eterna nemica del genere umano rappresentata in sembianze femminili, annuncerà il suo arrivo ai suoi destinatari con misteriose lettere viola, ma le stranezze continuano quando qualcuno avrà l’ardire di rispedire la propria missiva al mittente…
Ribellarsi alla morte, vivere per sempre: è una scelta possibile per l’essere umano? Di certo è l’ipotesi letteraria bizzarra che percorre l’autore, immaginandola come strada praticabile in senso letterale. E un mondo dove non si muore, una città incantata che ha sospeso le leggi dell’esistenza, diventa un sistema paradossale in cui le prassi si inceppano, le coordinate collassano, “le ruote” del metaforico mezzo non girano a dovere…l’economia deve reiventarsi, è in affanno perché gli agonizzanti negli ospedali e nei ricoveri per anziani non si decidono a salutare questo mondo e queste grigie zone acquisiscono l’aria di “cimiteri di vivi”, le imprese funebri restano al contrario deserte e la Chiesa sente svanire, sotto le mutate condizioni, la propria nobile funzione escatologica. Se la misteriosa incantatrice di cuori tiene in scacco da sempre gli individui di ogni razza e credo, detti a causa sua “mortali”, risulterà stranamente “incantata” e perdente di fronte a un violinista che capovolgerà il gioco, facendola innamorare, con la sua eterna musica. Una partita a scacchi con l’Arte? L’idea, forse, di un’altra forma di esistenza eterna, un’ immortalità più incisiva e nobile, figlia del merito e non del destino, avventura aperta e non concessa a ogni uomo.
Questo e molto altro vagheggia, tratteggia, e poi delinea con i fatti il più grande giocoliere della prosa, e così ci conduce sempre al di là del suo orizzonte narrativo: quello che vuole dirci davvero sembra un po’ oltre, dietro la trama avvincente, la vicenda fantastica, il surreale. Viene dopo ciò che sta dicendo. Bisogna fare un po’ di silenzio nella propria mente, pervasa al tempo d’oggi da un traffico di parole banali, vicende consuete, grigia quotidianità routinaria e lasciare il posto allo straordinario, che compare come un insolito sole all’alba, poiché l’autore non racconta a parole, ma come solo i grandi sono capaci di fare suggerisce, e lo fa con la grande mitologia delle sue ipotesi narrative semiserie che hanno tuttavia la coloritura drammatica delle grandi tragedie che accomunano l’umanità.
Le intermittenze della morte, Josè Saramago.
Foto copertina di Valentina Giuffrida
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.