L’acqua è vita, fonte di sostentamento, principio di nutrimento per il corpo ma anche per l’anima. Rappresenta quella connessione naturale alla vita stessa. Eppure esiste uno strappo a questa regola. Sì, perché “l’Acqua Tofana” potremmo dire che abbia una connessione più vicina alla morte! Beh, se vogliamo parlare di serial killer nella storia, il tanto acclamato Jack the Ripper con i suoi delitti brutali non può che cedere lo scettro alla sottigliezza e all’intuizione di una donna. In generale la donna serial killer non predilige metodi brutali e violenti, preferisce invece narcotizzare le vittime senza arrecare sofferenza. Attirano, come un ragno, la vittima per poi ucciderla ma nel nostro caso quelle ad essere attirate sono donne insoddisfatte che si affidano ad un sicario silenzioso. Parliamo di Giulia Tofana nata a Palermo, la cosiddetta “serial killer di mariti” che nell’Italia del Seicento diventa riferimento di tutte quelle donna desiderose di sbarazzarsi dei loro mariti troppo violenti o semplicemente indesiderati. Offriva alle clienti che si rivolgevano a lei, un potente veleno, per l’appunto “l’acqua Tofana”, spacciandola per un cosmetico naturale. Le indicazioni erano chiare, poche gocce al giorno nel cibo o nelle bevande del malcapitato marito per provocare una morte apparentemente naturale, senza sintomi, lasciando addirittura al moribondo che lasciava questa terra un colorito roseo. Giulia Tofana, mise su un commercio che non si limitava ai confini di Palermo ma anche a Napoli, Roma e Perugia. Una figura affascinante, potremmo dire risolutrice di mariti, tanto inquietante e ammaliatrice si districava infatti tra il lavoro di prostituta e quello di fattucchiera, dal passato decisamente violento, segnato da instabilità ed abusi ripetuti. Alimenta così un profondo odio e ripugnanza nei confronti degli uomini e per quelle relazioni sentimentali imposte da matrimoni combinati. Decisamente spiccata era la sua capacità di manipolazione e quel guizzo intuitivo, nel creare con un dosaggio perfetto un veleno micidiale insapore e inodore. Il suo sinistro commercio, oltre ad avere una certa soddisfazione economica era una sorta di riscatto e vendetta contro il potere patriarcale e maschilista. Fu fermata e scoperta a causa di una cliente troppo frettolosa che aveva sovraccaricato il dosaggio del veleno, insospettendo così i parenti della vittima. Da quel momento fu facile arrivare a Giulia Tofana che fu incarcerata a Roma, torturata al fine di confessare i suoi crimini e nel 1659 giustiziata. La sua confessione fu ancora più sconcertante, infatti confessò di aver causato la morte, o meglio venduto il suo micidiale prodotto, a seicento donne. La storia è ancor più sconvolgente se si pensa che queste seicento dosi erano riferite alle solo clienti romane. Il numero delle vittime rimane quindi impossibile da quantificare considerando che la sua attività si era sviluppata anche a Palermo, Napoli, Perugia. Un fatto è certo, le donne possono essere fisicamente più deboli ma non chiamatele mai più sesso debole, sono tsunami ricoperte di sofferenze e cicatrici.
“L’inferno non è mai tanto scatenato quanto una donna offesa.”(William Shakespeare)
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Sono Simona, avvocato, docente di Diritto e criminologa. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Catania. La curiosità verso quei circuiti e/o cortocircuiti della mente e dell’ambiente circostante mi ha portato ad esplorare tanti micro mondi lasciati nell’ombra. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli invisibili, raccontando il mondo con serietà ed una buona dose di ironia. Ispirata dalla ricerca di quella Dea cieca che spinge una “mini-toga” a guardare sempre avanti con impegno. Il mio biglietto da visita: “Lo si voglia o non lo si voglia, io giustizia e verità impongo!” (Dario Fo).