Da Pirandello a Lady Gaga nello spazio di una congiunzione per parlare di maschere.
I bambini per trasformarsi in supereroi, gatto con gli stivali o Barbie principessa del focolare, devono attendere con ansia il carnevale. Da adulti, invece, una volta completato l’upload dei condizionamenti sociali, si ritrovano con un fardello di maschere da mettere in tasca al mattino, prima di chiudere a doppia mandata la porta di casa per recarsi al lavoro.
Una dura realtà quotidiana quella dell’indossare e togliere maschere. Una pratica che mette costantemente alla prova le nostre innate capacità attoriali. Nessuno è escluso. Abbiamo la maschera glamour da serata mondana, quella da professionista con gli attributi, quella da genitore che rimprovera il figlio al bar mentre fa rumore bevendo il succo con la cannuccia. Tutto questo fa parte della cosiddetta ribalta, utilizzata nella metafora drammaturgica, nel 1959, dal sociologo Ervin Goffman: un palco con i riflettori puntati, su cui interpretiamo diversi ruoli per suscitare negli altri un atteggiamento favorevole, dando al contempo rassicurazione a chi ci sta intorno. Ma con il nuovo millennio sono arrivati i social network, stravolgendo molte teorie sociologiche. Altro che 15 minuti di celebrità a cui ci aveva condannato Andy Wharol. La pena deve essere più grave vostro onore, e potremmo chiamarla bulimia da ribalta. Se prima conducevamo una vita sostanzialmente privata con alcuni spazi pubblici, oggi conduciamo una vita pubblica, e ben poco destiniamo al privato. Vita privata è quella che Goffmann chiama retroscena: quel luogo lontano dai riflettori in cui ci togliamo la maschera tirando un sospiro, abbandonandoci a ciò che crediamo essere il peggio di noi stessi. Che poi corrisponde a tutto ciò che non inquadriamo nei nostri scatti su Instagram: la folla di ombrelloni accalcati in spiaggia con bambini scorrazzanti e genitori urlanti mentre tu fai finta di essere sull’isola deserta, il pigiama di flanella che indossi nel selfie che inquadra solo il tuo volto e una perfetta messa in piega. Insomma, sui social media mettiamo la maschera anche a tutto ciò che ci circonda. Ed il modern love non è certo esente da tutto ciò. Il punto è che il modo in cui il partner mostra la coppia sui social, influenza, di fatto, la relazione nel mondo reale. Da un lato, la condivisione di contenuti può rappresentare impegno nella costruzione della coppia, dall’altro i contenuti social, diventano spesso una minaccia per la stabilità della relazione, causando gelosia e modificando di fatto il rapporto di coppia nella vita reale.
E per tornare ai Poker face di Lady Gaga, di facce di bronzo ne è pieno anche il web: quelli che intessono relazioni extraconiugali e che per rassicurare i partner creano il profilo di coppia sui social o quelli che chiedono la password degli account personali perché così si fidano di più. D’altronde il cinema e la tv ci insegnano che l’amore è eterno finché dura. Chi doveva dirlo che avremmo rimpianto il post-it con cui Carrie veniva lasciata dal fidanzato di turno, nella serie Sex and the City. Oggi c’è lo Zumping e rischi di essere mollato durante una videocall su Zoom. E il tasto abbandona riunione assume anche la pratica funzione di abbandono del partner. Come però scriveva Pirandello, fuggire da un personaggio non ci rende liberi. Potremo indossare un altro costume, un’altra maschera, sicuramente diversi, ma che finiranno per imprigionarci di nuovo.
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Mi chiamo Marika Mannino e sono una Sociologa specializzata in Comunicazione e Marketing con una spiccata curiosità verso l’osservazione e lo studio dei cambiamenti sociali. Ho vissuto temporaneamente tra Roma e Milano per 21 anni, sognando una finestra vista mare. Ritornata ai piedi dell’Etna e conquistata l’agognata finestra, mi occupo oggi di consulenza, formazione e promozione del territorio. Sconsiglio fortemente la lettura dei miei articoli ai fanatici della ricerca empirica e ai famelici dei dati statistici.