Mercanti di nazionalità diverse, avidi di guadagni, sbarcano su una strana isola definita “Palazzo delle donne” per impossessarsi dei mitologici zaffiri blu che come talismani stregati li guideranno, su inequivocabili tracce azzurre, verso la sciagura.
Il blu, l’indaco e il grigio ammiccano da una stessa frase: è questa l’accoglienza della Yourcenar al lettore nel suo racconto surreale, onirico e ammantato d’Oriente. Da qui è un crescendo inarrestabile di inazzurramenti che da plausibili si fanno via via irreali, a cominciare dal cielo e dal mare, bluastro e turchese inondano ogni cosa: le ombre dei mercanti e le iscrizioni delle moschee, le sale spettacolari e i fumi odorosi. Seguendo questo filo azzurro accediamo a una seconda chiave di lettura, a un racconto dietro il racconto che comunica stati d’animo e impulsi, più che fatti. E non è difficile trovarne le orme, di questa narrazione mitologica e non scritta ma preparata dalle atmosfere della trama, poiché tra parole e capoversi, punteggiatura e allusioni, queste sfumature di azzurro vengono letteralmente a prenderci, attirano l’attenzione come un incantesimo ipnotico, baluginano dalle concretezze conferendo agli oggetti d’uso comune un alone di mistero. Persino le labbra di una giovane schiava e i suoi capelli appaiono luccicanti di azzurro, mentre la sua figura irreale priva d’ombra conduce i mercanti affamati d’oro, alla scoperta delle meraviglie dell’isola che pure scateneranno una incontrollabile ondata di violenza che si rivolgerà contro di lei. Dagli attacchi a sorpresa alle amputazioni bieche, alle automutilazioni feroci, questo è ciò che l’ambizione al possesso scatena, e quegli zaffiri che non daranno ricchezza ma miseria sembrano colorare delle loro tinte l’intera scena, rendendo azzurro tutto il racconto, come se una colata di vernice fresca lo intrappolasse, a partire dal titolo, ma forse, viene il sospetto ragionevole leggendo, è l’occhio di chi cupidamente brama a tingere la realtà, e accecato dal guadagno a non vedere altro che quel riflesso blu argento dei zaffiri, dappertutto nel mondo. La cecità porta confusione, e la ritroviamo nella scena finale, nell’occhio “senza sguardo” di una mendicante che conforta il mercante superstite, immagine intatta e metaforica della sua stessa disgraziata miseria.
Racconto azzurro, Marguerite Yourcenar.
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Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.