Con De Luca è in scena l’eterno duello della Vita. Un romanzo sulla natura che ha tre protagonisti: un camoscio, la farfalla bianca “tatuata” sul suo corno sinistro, e l’uomo che vuole sfidarlo. Questo racconta “Il peso della farfalla”: la difficile lotta alla sopravvivenza in cui la vita trova il modo di vincere. Su un altro scaffale, speculare ed opposto, troviamo “La morte della farfalla” di Citati, e questa volta la farfalla è lei, Zelda, angelo dalle ali bruciate, eterno amore di Francis Fitzgerald, votata più alla morte che alla vita.
L’estate è lunga, così i consigli di lettura raddoppiano. Sono belli da immaginare insieme, sotto l’ombrellone. Brevi, netti, e con le pagine leggere, ali di farfalla, da sfogliare velocemente passando con dita inquiete dall’uno all’altro. Il peso della farfalla e La morte della farfalla appartengono a due autori diversi, a due universi letterari che non comunicano né si richiamano, se non fosse per quel volo fugace impresso a titolo opposto nella loro storia. Nella trama di De Luca la farfalla non vola: è incisa come un tatuaggio regalato dalla Natura al corno del camoscio dominante. Un marchio casuale di elezione, e insieme impronta leggera di una grazia istintiva. È un’esistenza insinuata, ancor più reale di ogni realtà: evocatrice di voli, per natura spezzati, sembra beffarsi di ogni mira, anche quella del lettore verso il senso ultimo della narrazione, e della vita, di cui è silenziosa custode ammiccando, sfuggente, da un capoverso all’altro, e aleggiando vaga, a partire dal titolo. Non ha peso, eppure “esistono carezze che aggiunte su un carico lo fanno vacillare”.
La farfalla di Citati invece non è statica, danza come una ballerina, è Zelda “un angelo dalle ali un po’ bruciacchiate”, di altissima ambizione e scarso talento. O forse la sua “volontà di potenza” restò incenerita dal talento del marito così come le sue ali frementi da una certa follia che costrinse lei, ballerina per ostinazione, a una ben più triste danza involontaria tra luci e ombre dell’esistenza. Citati racconta questo volo al contrario; dalla ricchezza all’alcolismo, dal successo alla malattia mentale. La caduta di una farfalla dal fiore più luminoso alla polvere della terra.
Eppure intorno alla farfalla Citati dipinge, in rilievo, altro: lo sguardo di un uomo, ossia Francis Fitzgerald, che come Anthony Pach, suo personaggio in “Belli e Dannati”, segue un raggio di sole mentre si sposta. E questo è scrivere. Una luce che danza. Uno scrittore a pensarci non fa altro: segue un bagliore, in transito, su un oggetto banale. Quella scintilla che illumina zone grigie dell’esistenza fino a renderle desiderabili. Il maggiore di questi sfavillii per Francis fu Zelda. Ballerina, indomita e attraente, capace di imporsi sulle cose del mondo da protagonista: lo fu nei libri del marito, lo è in quello di Citati. Non le riuscì forse di essere sguardo, ma seppe alla perfezione farsi Vita: oggetto di narrazione.
Di fronte alla farfalla di De Luca pure c’è un uomo. Ma non il suo sguardo. Possiamo, al contrario, spiarlo con occhi di camoscio. Imita la natura, conquistandone a fatica le vette. “Re dei camosci” anche lui, ma solo nel senso che ne ha abbattuti trecentosei, è un sovrano minore, e ora punta al più forte, a cui ha strappato già il nome, ucciso la madre e parte del branco. Al camoscio ha conteso le altezze, e ora vuole il suo peso in spalla, trofeo di carne e pelliccia, e di gloria da narrare a una giornalista interessata alla sua vita. La incontrerà, incalzato dalla volontà di lei, cacciatrice di storie paziente. Due rapporti simmetrici, una donna a caccia di storie incontro a una preda ormai stanca di resisterle e mai però di stanare il camoscio più anziano del branco: un gioco di parti che si invertono e in cui, malgrado i singoli, è la vita che avanza, e vince sempre, seguendo codici suoi, ineffabili e decisivi come voli di farfalla.
Il peso della farfalla, Erri De Luca.
La morte della farfalla, Pietro Citati.
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.