È un’estate strana quella che ci accingiamo a vivere… fuori dal letargo delle nostre abitazioni, una protezione fin qui necessaria, non troveremo estrema sicurezza nelle strade, nelle piazze; è un mondo sonnolento non del tutto sveglio che si dona a tratti. Usciamo ma non troppo, ci tuteliamo ma non più del tutto. In questi giorni a metà, intravediamo quell’estate diversa che ci ammicca e respinge. Raggi di calore si alternano alle piogge. Abbiamo tanto parlato di ciò che ci è mancato in quarantena, ma il punto è, alla vigilia di una quasi normalità, cosa ci mancherà? Quale privazione incolmabile ci accompagnerà ancora al lungo, e forse per sempre? Cosa tolgono esattamente la paura, il rischio, l’incertezza del futuro, alla vita? A queste e ad altre domande, simili, risponderemo, con note diverse, in questo numero. Perché sono in fondo queste le domande che ci poniamo oggi. Cosa aveva in più l’estate di ieri? Cosa ci regalava, dentro e fuori, non vista? Perché forse non ci accorgevamo di quanto potente fosse il suo dono, mai come oggi che ci manca. Poi però riflettendo viene fuori una verità profonda: la privazione non solo sottrae, ma spesso elargisce. In termini di esperienza, stimolo, luce. A volte è proprio ciò che non c’è, o non c’è più a far sentire nell’assenza la sua forza, attraverso il desiderio, il ricordo. Ragionando su questi temi, lo sfondo, e non il punto focale, l’assenza, e non la presenza, l’isolamento, e non l’aggregazione, abbiamo danzato, con le nostre penne un ballo silenzioso, sottovoce, non visto, che come nella vocazione di Spazi Esclusi, racconta ciò che è trascurato ma importante. Il nascondimento di questi tempi, a tratti spezzato, il vuoto spettrale delle nostre città più popolate, il nostro agire defilati, lavorare da lontano, volerci bene al telefono, ha prodotto un silente controcanto poderoso, un’altra forma di esistere, meno ostentata, più autentica. Un osservare non visti che deve restare una lezione di vita per noi e gli altri, mosso certo dalla necessità, ma che diventa a un certo punto stile. Un modo d’essere che mi piace, lontano dalle irruzioni rumorose, dall’imporsi per forza, dal far baldoria e marcare i propri passi. In questa strana convalescenza dell’umanità scopriamo che possono esserci nuovi valori nella nostra etica, improntati sul farsi da parte, osservare muti, aver cura di sé, e così, delicatamente degli altri. Tacere, a fronte di tanto rumore. Non imporre la propria presenza, comunque e sempre. Lasciar fare, lasciar essere, permettere. Che la nostra terra si rigeneri senza di noi, che le esistenze, nei microcosmi separati, restino indipendenti. E ancora, recidere i fili. Sospendere il quotidiano, o esserne in grado, e stare a vedere cosa resta. Quello forse, è l’essenziale. Ciò che comunemente diciamo il senso della nostra vita.
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.
Raffaele
30 Giugno 2020 — 13:28
Un’osservazione praticabile è nello Spazio Escluso, dove l’ Escluso pùo significare, soprattutto in questa fase, un ritiro, un rientramento, ancorché tattico, temporaneo. Sarebbe questa una modalità per ritrovare il proprio ‘spazio‘: quello dell’interiorità riflessiva, dove è possibile rintracciare le esigenze del proprio ‘esserci’, esplorando le stratigrafie superficiali, quella dove si nasconde la profondità culturale del battito individuale, forse impaurito, a volte alterato, a volte negato.