Tempo di pandemia: tempo di riflessioni, di ritmi sospesi, di essere e di mancare. Essere perché in questi mesi di lockdown mondiale abbiamo restituito valore alla presenza. Di persone, di oggetti e di luoghi con i quali per la prima volta – per scelta o per necessità – ci siamo trovati a condividere un tempo infinitamente più grande rispetto a quello a cui eravamo abituati, le 24 ore o quasi. Mancare perché, contemporaneamente, non abbiamo fatto altro che lamentarci di ciò che è stato vacante. Eppure le nostre smanie di normalità sono state esaudite grazie al potere dell’etere, al quale abbiamo affidato gran parte dei compiti che prima svolgevamo di persona. E da qui il boom dell’home delivery, degli incontri in videoconferenza e degli acquisti sfrenati online, talvolta ai limiti del cosiddetto panic buying (tanto per rimanere in ambito anglofilo, visto che si è trattato di fenomeno globale). Il resto lo abbiamo rimandato a tempi più sereni, perché in fondo, come scriveva Miguel de Cervantes, a tutto c’è rimedio, meno che alla morte, con la quale già troppi uomini e donne hanno irrevocabilmente pagato.
E la vita? Notoriamente un paese dalle culle sempre più vuote, l’Italia potrebbe purtroppo superare ogni più pessimistica previsione sul futuro delle nascite per effetto del virus, dati statistici alla mano. Ma dare alla luce non è un evento procrastinabile e quindi, per quanto a ritmo lento, anche in tempo di pandemia si viene al mondo. La parola d’ordine, inutile dirlo, è alt. L’ingresso è interdetto ai papà e le mamme rimangono sole in sala parto. Niente assistenza familiare, nemmeno subito dopo la nascita. A incoraggiare la partoriente saranno gli sguardi del personale medico e ostetrico, che bardato – come e più di lei – con i dispositivi di protezione è costretto a celare i propri sorrisi. In quelle ore così importanti la comunicazione medico-paziente è sottoposta a barriere: manca di immediatezza ma non può peccare di efficacia. La lieta novella giunge alla famiglia solo per videoregistrazione, bandite le attese di gruppo in sala d’aspetto. E poi ancora emozioni a distanza, sino al giorno delle dimissioni della mamma e del nascituro. Il papà li accoglierà a casa, ma sarà ancora troppo presto per le visite.
Aveva proprio ragione l’autore del Don Chisciotte. A tutto si può rimediare. Anche quando si combatte contro qualcosa di molto più pericoloso di un mulino a vento, la vita continua ad essere celebrata.
Sono Iolanda, giovane insegnante di Lingue straniere, traduttrice ed esterofila. Ho studiato a Catania e poi a Roma, passando per Madrid. Ci ho messo poco a capire che la mia vita sarebbe girata intorno al mondo della formazione dei giovani. Vorrei che tutti loro imparassero ad amare le culture straniere, oltre che le lingue. Perché gli idiomi sono strumenti che, allo stesso tempo, rivelano integrazione e tutelano identità.