Abbiamo affondato il passo, e già da un po’, in quella lunga vigilia natalizia che il consumismo occidentale tende ad anticipare ogni anno, perché aumentino gli acquisti, e la città si è accesa: di luci, decorazioni, colori, appetitosi doni da scartare, che alla parte bambina della mente evocano sempre un po’ quelle ghiottonerie che ci impedivano di sciogliere in bocca, o quelle sorprese proibite fino allo scarto ufficiale dei doni…così giravamo intorno all’albero, muto custode dei doni, misuravamo il pacchettino con gli occhi, lo scuotevamo e pesavamo, a volte, per immaginare cosa contenesse, e la fantasia ci portava sempre un po’ più lontano della realtà tra le dita. Natale era già allora la festa dell’immaginazione, della fantasia stuzzicata, dell’attesa. Attesa della nascita del Salvatore del mondo, per chi crede e chi no. Perché a qualcuno buono che rimetta al posto le cose, in politica, in società, nel lavoro, nell’ordinario, in fondo ci crediamo e speriamo tutti, e il Natale cristiano ha impresso a fuoco il marchio della speranza al Natale mondano. E immaginare non è più ingenuo, diventa lecito. Così aspettiamo speranzosi, a Natale, ancor più chiaramente, sia che il nostro focolare sia una Chiesa, sia che assuma più l’aspetto di un centro commerciale. Quello che mi stupisce sempre, per le strade agghindate e infiocchettate a dovere dal Comune, perché lo spirito della festa salga come un incenso mistico ai nostri cuori, è il contrasto di luci e ombre. Quando tutto deve essere buono, la cattiveria si vede di più. Quando l’opulenza è padrona, la miseria è più nera, quando a intermittenza le luci brillano, alcune strade abbandonate sembrano ancora più buie, così è più chiara, stringendosi intorno a una tavola imbandita tra le presenze dei cari, l’assenza di chi non c’è, di chi non può o non vuole esserci. Di chi semplicemente ha smesso di festeggiare con noi la vita, perché ha concluso la sua, o modificato il tragitto. Come non pensare, in questi celebrati Natali del Sud, così necessari e rituali, all’opera “La luce e il lutto” di Gesualdo Bufalino? Come la Sicilia, vitalistica, calda, forte, duale, generatrice di ombre, lo è forse anche il suo Natale, che festeggia chi c’è e soffre chi non c’è più, comanda l’abbraccio e ne patisce il vuoto, prepara il pacco dono, come fa il destino, e attende, chissà quando, e chissà con chi, di scartarlo.
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.