Un tempo le profezie arrivavano da studiosi visionari, Cagliostro e Nostradamus, per capirci, misteriosi individui di cui ancora oggi si favoleggia, o da intellettuali socialisti come Marx: oggi una sedicenne svedese punta il dito contro i giganti mondiali, ma che abbia le trecce e l’aria rancorosa poco importa. Lei è un simbolo: il futuro dell’infanzia rubato. Un simbolo che qualcuno manovra? Ancora, poco importa. Il messaggio sembra corretto, e come ogni messaggio corretto suscita divisioni e conflitto. Che poi lei sia antipatica, istruita a dovere o sincera, è un fatto a parte. Un fatto su cui molti preferiscono arrovellarsi, producendo letteratura di bassa leva, coniando offensivi appellativi, paragonando questo a quello, allenando insomma, l’inutile penna a una serie di oziosi esercizi stilistici che tutto fanno meno che centrare il bersaglio e concentrarsi sui contenuti. Il punto è che Greta Thunberg non somiglia per niente ai nostri figli e nipoti, e questo già è vagamente inquietante, e a dirla tutta nemmeno ai nostri alunni. Però minaccia di mobilitare orde di adolescenti ad assumere le sue pose, e così se pure lei non assomiglia troppo a nessuno di nostra conoscenza, qualcuno finirà per assomigliarle. Ha qualcosa di fastidioso per le vecchie generazioni, un elemento non così raro oggi, l’aria polemica di chi non perdona, però c’è qualcosa di ancora più insopportabile per tutti noi: il fatto, schiacciante, che abbia ragione. Chi scoperchia pentole non è mai simpatico, anche se lo fa a casaccio e senza cognizione. Chi spalanca la porta del futuro e mostra scenari apocalittici prende su di sé tutta quell’angoscia che la visione dietro l’angolo ci scatenerebbe. Dovremmo deciderci a varcare la soglia, e navigare in direzioni non sempre convenienti, come mostra l’articolo di argomento sociale in questo magazine: per seguire la nostra vocazione. E questa ragazzina impertinente con autonomia o forse no, comunque lo sta facendo. O magari interpreta la vocazione di qualcun altro: ma è comunque una strada urgente e non possiamo ignorarla, o sbattere ancora a lungo la testa su una porta che ci protegga da quel fuori che ci appartiene. Così facciamolo il passo, perché se è vero che una porta chiusa scatena l’immaginazione, dietro una porta che si apre ci attendono sempre nuove responsabilità da assumere e opportunità da afferrare.
Mi chiamo Irene e sono il direttore di questo magazine on line, fondato con l’Associazione Culturale “Le Ciliegie”. Nel lontano 2003 mi sono laureata in Filosofia con 110 su 110 e lode, tesi in Bioetica sull’esistenzialismo francese, e proprio come Jean Paul Sartre, mio filosofo del cuore, ho idea che “terminerò la mia vita esattamente come l’ho iniziata: tra i libri”. Sono una giornalista culturale e una docente di Filosofia e Storia: il giornalismo è la mia scusa per scrivere, l’insegnamento la mia palestra. Ma la verità, dietro tutte queste maschere di carne, è che sono una scrittrice, e scorre inchiostro nelle mie vene.