Di Carmen Battaglia.
Laureata in Decorazione e specializzata in Grafica presso Accademia Di Belle Arti di Catania, esperienza di Cultore della Materia in Decorazione – Product Design e Grafico libero professionista.
Vi siete mai chiesti se c’è differenza fra guardare e vedere? Sono verbi dal significato profondamente diverso in realtà. Si guarda per esaminare qualcosa o qualcuno ma questo non ha effetto se ciò che si osserva non viene realmente visto. Chi vede “comprende” cioè esce dalla passività del guardare ed entra in empatia con il soggetto osservato. Bisogna quindi riuscire a vedere per andare oltre la percezione oggettiva delle cose. Gli artisti fanno questo. Si guardano attorno e vanno oltre, sforzandosi di sentire la realtà senza limiti temporali o spaziali, scandagliando la natura umana o la bellezza delle cose, rappresentando la vita in tutte le sue forme. Ognuno nella sua epoca, con un suo stile personalissimo, ma tutti animati da contraddizioni personali e caratterizzati da un’esistenza, talvolta, borderline. Proviamo a capire facendo quattro passi nel tempo come sentivano e quindi vedevano l’arte questi uomini privilegiati. L’arte del paleolitico è strettamente legata alla natura: l’uomo rappresentava scene di caccia, animali e figure femminili. Lo scopo era quello magico di esorcizzare le paure indotte dal mondo circostante, propiziare la caccia o rappresentare la fecondità e il mistero della nascita nelle forme piene di fianchi, seni e ventri delle Veneri. Anche le semplici impronte della mano trovate all’interno delle grotte erano forme d’individualità ed esistenza per l’inconsapevole artista primordiale.
Facendo un bel salto in avanti osserviamo l’arte del Cinquecento, dove troneggiano due figure di rilievo dell’apogeo dell’arte italiana di quel periodo: Leonardo Da Vinci (1452-1519) e Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Poliedrica la sua figura di artista e scienziato, per Leonardo, l’arte è uno strumento di ricerca personale per scandagliare, con estrema minuziosità e accuratezza dei dettagli, la realtà e l’uomo.
Michelangelo, pittore, scultore e architetto, invece fu un uomo dal temperamento tormentato e trasferì questa tensione emozionale nelle sue opere. Egli era spinto verso un ideale di perfezione che ricercava attingendo all’arte antica per rappresentare la spiritualità cristiana del suo tempo. Nelle sue rappresentazioni (sia scultorie sia pittoriche) ci sono espressioni drammatiche, senso di smarrimento e sublimazione.
Per lungo tempo gli artisti rappresentarono sotto forma di figure umane immagini mitologiche, allegorie, battaglie epiche o scene tratte dalle sacre scritture per “spiegare l’arte” anche a chi non sapeva leggere e scrivere, quindi l’arte divenne un libro illustrato a tutti gli effetti, un modo per comprendere e divulgare il sapere antico e non perderne la memoria. Ma che succede quando questa necessità inizia a non essere primaria? Gli artisti sono svincolati dalla necessità di rappresentare oggettivamente il mondo circostante e si sblocca anche la rigida rappresentazione della figura umana. Questo fenomeno liberatorio è molto evidente nell’arte del XIX secolo la cosiddetta “Arte Moderna” che contiene, al suo interno, stili e movimenti molto eterogenei e talvolta in contrapposizione tra loro. L’Impressionismo (anni sessanta dell’Ottocento) coglie proprio l’impressione che l’artista ha del mondo circostante: paesaggi en plein air , innovazioni cromatiche a colori vivaci, pennellate veloci che catturassero la sensazione di quel momento senza i limiti di una lenta pittura accademica tradizionale. L’Espressionismo (primi anni del Novecento) invece predilesse i moti dell’anima e in questo la psicanalisi di Sigmund Freud fu determinante. Per l’artista espressionista gli “occhi dell’anima” sono la base di partenza per la rappresentazione. Qui la forma esteriore delle cose e della figura umana lascia il posto all’espressione del loro lato emotivo. Quindi c’è la volontà di esaltare, e talvolta esasperare, la rappresentazione degli stati d’animo. Fu una forma artistica ricca di contenuti sociali e animata dalle drammatiche testimonianze di una realtà in guerra con tutto quello che ne consegue.
Si arriva così, dopo la seconda guerra mondiale, alle correnti dell’Arte Astratta e poi Concettuale. La forma è destrutturata, frammentata e talvolta non c’è, ma lascia il posto ad una rappresentazione “aperta” che stupisce, turba, destabilizza o sorprende lo spettatore.
Con queste premesse si arriva alle performances e alla Body art dove il corpo torna protagonista oggettivo ma diventa tela di rappresentazione esso stesso con intenti provocatori o spettacolari. Ogni artista, vivendo il suo tempo, ha rappresentato non solo le mode del momento ma ne ha colto l’essenza con gli occhi di chi sa vedere e non si limita a guardare.
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