Alda Merini si definiva “matta in mezzo ai matti”. E continuava dicendo: “I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non come i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita!” Viaggiamo nella storia e nelle varie fasi che hanno portato alla chiusura definitiva dei manicomi e al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. I manicomi svolgevano un ruolo di controllo sociale, non erano solo un luogo di ricovero e cura dei malati ma soprattutto uno spazio di abbandono per emarginati sociali, indigenti, delinquenti, prostitute, omosessuali ecc.
Nel 1904 venne approvata una legge che disciplinava i manicomi ma il paziente psichiatrico rimane in qualche modo legato alla figura del carcerato. Difatti, venivano ricoverati soggetti ritenuti pericolosi oppure coloro che avevano dato pubblico scandalo, oggi forse mezza popolazione sarebbe stata rinchiusa! Ne conseguiva il problema degli ergastoli bianchi, persone che per aver commesso semplici reati bagatellari (ossia reati che non destavano particolare allarme sociale) finivano per restare a vita all’interno dei manicomi. I pazienti venivano spogliati di dignità e umanità, diventavano a volte vere e proprie cavie in un luogo in cui i trattamenti terapeutici si traducevano in tecniche definite all’avanguardia come l’elettroshock e la lobotomia frontale. I manicomi giudiziari, nel 1975 prendevano il nome di Ospedali Psichiatrici Giudiziari e solo nel 1978 con la storica Legge Basaglia n. 180 si imponeva la chiusura dei manicomi istituendo i Servizi di Igiene Mentale. La storica riforma superava la natura custodiale tipica del sistema penitenziario rafforzando e affidando le strutture territoriali psichiatriche di presa in carico e cura del malato al Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia la chiusura dei manicomi rappresentava soltanto l’inizio di un processo molto più complesso. La storica Legge Basaglia non affrontava infatti l’astioso problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ancora sotto il controllo del Ministero di Grazia e Giustizia e non di quello della Sanità come i manicomi civili. Il nodo da sciogliere era, e rimane, legato al criterio della misura di sicurezza applicabile al soggetto ritenuto socialmente pericoloso. Così negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari confluiva tutto ciò che era considerato socialmente pericoloso senza operare una effettiva distinzione del malato. Altra svolta storica è stata definita con la legge 81 del 2014 che ha stabilito la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, istituendo delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. Strutture residenziali socio-sanitarie di piccole dimensioni con lo scopo di curare il malato e non più quello di recluderlo, attraverso un trattamento terapeutico-riabilitativo personalizzato periodicamente aggiornato. Tuttavia si tratta di strutture di piccole dimensioni impossibilitate a farsi carico di un numero di malati nettamente superiore rispetto ai posti disponibili. Ad oggi sono stati compiuti numerosi passi avanti ma sono ancora molti i nodi legislativi da sciogliere.
“Non basta aprire le porte per liberare i prigionieri” (R. Castiglioni) prima di tutto bisognerebbe liberare tutti i sani ed i malati dal pregiudizio della malattia, senza limitare noi stessi ad essere sani dementi fuori.
Sono Simona, avvocato, docente di Diritto e criminologa. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Catania. La curiosità verso quei circuiti e/o cortocircuiti della mente e dell’ambiente circostante mi ha portato ad esplorare tanti micro mondi lasciati nell’ombra. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli invisibili, raccontando il mondo con serietà ed una buona dose di ironia. Ispirata dalla ricerca di quella Dea cieca che spinge una “mini-toga” a guardare sempre avanti con impegno. Il mio biglietto da visita: “Lo si voglia o non lo si voglia, io giustizia e verità impongo!” (Dario Fo).