Il fenomeno che vede l’Italia come paese destinatario di migrazioni non è cosi recente come siamo erroneamente portati a pensare. Le prime migrazioni straniere verso l’Italia, infatti, risalgono addirittura agli anni ’70 del secolo scorso. È sicuramente più recente il repentino aumento della portata del fenomeno, al quale è corrisposto lo sviluppo di un dibattito sociale e politico a livello nazionale e comunitario. La storia ci insegna che le migrazioni sono state nel corso dei secoli una condizione naturale degli esseri umani. I movimenti migratori di ieri riempiono le pagine dei libri di testo e si studiano a scuola, ma delle migrazioni del mondo di oggi quale percezione hanno le generazioni dei giovani studenti? Lo abbiamo chiesto alla Prof.ssa Francesca Rando, docente di Storia e Filosofia presso un Istituto Superiore del catanese, che ha lavorato in modo tale che i propri alunni potessero apprendere attraverso testimonianze concrete.
Prof.ssa Rando, in cosa è consistito il suo progetto scolastico e da quali esigenze è nato?
Le nostre attività, iniziate in concomitanza con un altro progetto riguardante il tema della Memoria, nascono dalla volontà di attualizzare, attraverso esperienze di cittadinanza attiva, i percorsi di difficoltà ed emarginazione tipici del vissuto dei migranti. Il progetto si è articolato in momenti diversi, ma complementari tra loro. Il primo in ordine cronologico è stato l’incontro, nel mese di febbraio, con il soccorritore internazionale Alessandro Montanari, presso la nave Aquarius. Da questa occasione sono nate nuove opportunità di approfondimento del tema delle migrazioni nel Mediterraneo. Gli studenti partecipanti al progetto appartenevano al triennio (quarta e quinta classe) della scuola secondaria di secondo grado, ovvero alla fascia di età 17-19 anni.
Non vi siete fermati, quindi, al primo incontro.
No, alla prima testimonianza è seguita una seconda, questa volta grazie ai soccorritori della Sea Watch, una delle organizzazioni umanitarie senza scopo di lucro che svolgono attività di ricerca e salvataggio in mare.
Cosa hanno raccontato i soccorritori?
Sono stati entrambi eventi molto significativi ai quali ci siamo preparati, studenti e alunni, con attività propedeutiche e di approfondimento. Alessandro Montanari si è concentrato sul tema del viaggio in mare, ovvero della traversata sud-nord nel Mar Mediterraneo. L’elemento nuovo rispetto alle aspettative iniziali degli studenti è stato trovarsi a sperimentare sensazioni ed emozioni mai provate prima. Infatti, tramite tecniche di role play (modalità di formazione che si propone di simulare, per quanto possibile, una situazione reale), i disagi di un gruppo più o meno nutrito di viaggiatori che si trovano a percorrere un tratto in mare a bordo di imbarcazioni fatiscenti sono stati percepiti concretamente a causa di un condizionamento di natura psicologica: spazi angusti in cui coabitare, pericoli costanti per la propria incolumità, traumi di diverso genere. I volontari della Sea Watch, invece, hanno raccontato come l’esperienza venga vissuta da coloro che scelgono di farla, ovvero i soccorritori.
Quando siete passati all’azione?
Poco tempo dopo. Tra i nostri ragazzi e gli ospiti si è creata una sinergia positiva che ha permesso di lavorare serenamente in un’atmosfera di reciproca collaborazione. A conclusione delle attività del progetto, i volontari Sea Watch hanno invitato coloro che lo volessero a seguirli a bordo. In quel periodo, infatti, la nave Sea Watch si trovava ancorata al Porto di Catania. Le risposte positive sono state unanimi, i ragazzi si sono mostrati subito pronti. Una tarda mattinata, a fine orario scolastico, ci siamo spostati insieme da scuola per una lunga passeggiata a piedi verso il Porto.
Si ricorda quali siano stati i primi commenti degli alunni una volta conclusa la visita?
I ragazzi hanno partecipato in maniera responsabile e matura. Una volta all’interno dell’imbarcazione, sono stati attenti alle descrizioni dei soccorritori e hanno posto numerosi quesiti. Nonostante la complessità dei temi affrontati e la necessità di comunicare in lingua inglese, mi hanno riferito di aver soddisfatto le proprie curiosità. È stato bello per loro riuscire a comprendere, a farsi un’idea partendo da un presupposto concreto. Spesso distratti, non seguono le notizie dei telegiornali, si informano solo tramite il web e non possono avere una visione completa rispetto a questi temi. Quel giorno si sono sentiti liberi di apprendere e hanno sottolineato l’importanza di approcciarsi a più fonti per la corretta interpretazione di una notizia.
Ci vuole coraggio a insegnare così?
Certamente ci vuole capacità di leggere negli occhi dei propri studenti. Durante le mie giornate in classe io osservo molto chi mi sta davanti. Cerco di comprendere quale sia l’umore dei ragazzi, misuro le loro reazioni ai miei input. Se la reazione è positiva come in questo caso è accaduto, vado avanti e mi spingo anche oltre la solita lezione. Non so se questo sia il frutto di un grande coraggio o, magari, di un pizzico di incoscienza. Di una cosa sono consapevole: se agisco lo faccio sempre con onestà e mi impegno a far crescere in loro i semi di un pensiero responsabile, senza colore politico, un pensiero critico e lontano da vincoli.
Sono Iolanda, giovane insegnante di Lingue straniere, traduttrice ed esterofila. Ho studiato a Catania e poi a Roma, passando per Madrid. Ci ho messo poco a capire che la mia vita sarebbe girata intorno al mondo della formazione dei giovani. Vorrei che tutti loro imparassero ad amare le culture straniere, oltre che le lingue. Perché gli idiomi sono strumenti che, allo stesso tempo, rivelano integrazione e tutelano identità.