Catania, la città che mi ha adottata: viva, energica, vulcanica e nervosa come la montagna che la sovrasta, ma Catania è anche sconosciuta e voglio farvela scoprire quando era ancora buia ma già multiculturale e multireligiosa, portandovi a spasso per la sua Giudecca.
Per intraprendere questa passeggiata, come di consueto, dovrò aprire la mente, immaginare il passato e salire sulla mia macchina del tempo. Si parte alla volta del 1373. La pietra lavica rende le strette strade della Giudecca ancora più buie, nel XXI secolo queste strade saranno via Vittorio Emanuele, il quartiere di San Cristoforo, via Plebiscito e giù fino alla pescheria, risalendo poi verso il castello Ursino, ma adesso questa zona è il quartiere ebraico della città, il fiume Amenano è chiamato Judicello e offre le sue acque ai bagni rituali. Eccola qui la mia compagna di viaggio: è la moglie di un dottore, tale Pasquale del Medico, insieme passiamo davanti alla sinagoga, che nel XXI secolo non troverete più, al suo posto un cortile mal tenuto nei pressi di via Plebiscito, ma la mia “amica” non lo sa, adesso va di fretta e mi invita a velocizzare il passo dandomi una mossa se proprio devo seguirla. Ma dove stiamo andando? Da una donna molto malata, mi risponde Virdimura, gravissima e indigente della quale lei si sta prendendo cura, con la competenza e l’energia che contraddistinguono questa piccola donna ebrea del 1300. Ebbene sì, Virdimura è un medico, ha imparato l’arte della medicina dal marito, perché ancora la vera scuola è la casa e dovremo attendere il 1400 perché le università sostituiscano le scuole tradizionali mettendo in ovvia difficoltà le donne che non potranno più seguire, per ovvi motivi, lezioni in luoghi lontani da casa. Ci vorranno secoli prima che le donne riescano di nuovo a riprendere gli studi. Virdimura, grazie ad una regia disposizione di Federico II, ha ricevuto l’abilitazione ad esercitare la medicina e il suo “certificato” è conservato presso l’archivio di stato di Palermo. La comunità ebraica di Catania è ricca e vivace, Virdimura potrebbe aiutare ricchi pazienti, ma lei si è messa al servizio dei poveri. Siamo arrivate, la mia compagna di viaggio entra rapida all’interno di una povera casa, una donna anziana le apre la porta e un odore di morte esce senza pietà da quel misero uscio. La morte ha lo stesso odore, per i ricchi e per i poveri, lei non fa differenze di ceto e religione. Rimango fuori e mi guardo intorno, lo sguardo mi cade sulla menorah incisa su una delle torri del castello Ursino, firma delle maestranze ebraiche che hanno contribuito alla costruzione. Virdimura esce dalla povera casa, è abituata alla morte ma la luce nei suoi occhi è cambiata. Devo salutarla, non posso seguirla all’interno del mikveh, il bagno dove la donna, come da precetto religioso, dovrà immergersi per purificarsi dopo il contatto con la morte. Devo tornare al presente, ma guarderò con occhi nuovi una città che non c’è più.
Mi chiamo Barbara, diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Perugia, sono da sempre appassionata di Arte e Antiquariato. Amo associare l’idea di viaggio a quella di immersione nell’arte, ritenendo il mondo un prezioso scrigno colmo di tesori. La scrittura di racconti e la compagnia dei libri sono la mia vita ed è a loro che mi dedico con passione perché, citando Umberto Eco, “chi legge avrà vissuto 5000 anni, c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.